mercoledì 4 maggio 2016
Leonardo e i Navigli: ingegneria e genialità
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“I disegni di Leonardo non sono per forza delle invenzioni, spesso scaturiscono da una puntigliosa osservazione della scienza che già esisteva. Ma proprio qui sta un importante tratto della sua genialità: l’aver rappresentato ciò che c’era in modo chiarissimo e dettagliatissimo”. Claudio Giorgione sintetizza così quanto emerso ieri al Museo della scienza e della tecnologia. L’argomento della Giornata di studi da lui curata s’intitolava “Memorie leonardesche. I portelli di chiusa del Naviglio”, ma quanto ne è scaturito ha travalicato l’argomento specifico, restituendo un illustre vinciano “che mai ha nascosto il proprio debito nei confronti del passato. E che proprio per questo si è tinto di una peculiare genialità”.
 
Detto ciò, il convegno di ieri ha portato pure una notizia concreta: le due chiuse del Naviglio Martesana, quella “di San Marco” e della “Cassina di Pomm”, saranno restaurate e musealizzate. Da cinquant’anni giacevano nei magazzini del Museo, ma nei mesi scorsi sono state studiate da una task force comprendente anche università Statale, Politecnico e Bicocca.

Il foglio 656a recto del Codice Atlantico di Leonardo, con la rappresentazione e la descrizione tecnica della chiusa di San Marco a Milano (Copyright Veneranda Biblioteca Ambrosiana/Picture Library De Agostini - cortesia VBA) Con un sogno nel cassetto: trovare i fondi per restaurarle ed esporle entro il 2019, quinto centenario dalla morte di Leonardo. Ma cosa c’entrano questi manufatti con il poliedrico toscano? Semplice: il genio di Vinci osservò con attenzione la scienza idraulica lombarda. E attorno al 1490, durante la prima permanenza milanese, fissò nel suo “Codice atlantico” la chiusa di San Marco. Allora il Naviglio Martesana confluiva nel Seveso. Ma, proprio in quegli anni, Ludovico il Moro aveva decretato che quel corso venisse collegato alla Cerchia interna.
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Problema: i livelli dei due corsi erano diversi, e serviva un sistema di chiuse che li uniformasse a ogni passaggio di chiatta. Il ruolo di Leonardo da Vinci in questi studi – finalizzati a collegare Milano con il Lago Maggiore, in vista di un più efficiente trasporto merci - non è ancora del tutto chiaro. Solo una certezza: della “conca di San Marco”, il poliedrico toscano realizza non un piccolo schizzo, ma una rappresentazione appunto “chiarissima e dettagliatissima”. Tra i tanti motivi d’interesse, spicca la documentazione di un artificio tecnico mai visto prima di quel momento: la presenza di una piccola coppia di portellini che, agevolmente aperti a ogni passaggio, pareggiassero il livello del corso prima e dopo lo sbarramento, rimandando l’apertura delle grandi “ante” del manufatto solo a bilanciamento idrico raggiunto.
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Un sistema ingegnoso, che semplificava alquanto le operazioni di transito. Quanto custodito oggi dal Museo di via San Vittore, spiega Giorgione, “risulta composto da un corpo principale in faggio e assiti in abete rosso”, e “risale al 1700, con l’unica eccezione di un portellino che l’esame al carbonio data al XVI secolo”. Naturale, per lo studioso: “Fino all’avvento del treno – ricorda -, quelle vie d’acqua assicuravano gran parte del trasporto merci necessario per la città”. Insomma: era un continuo “apri e chiudi”. Dunque – con tutta probabilità - anche un frequente “aggiusta e sostituisci”. 
 

Chiuse (GabrieleGuidi - Politecnico di Milano)
 
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