sabato 23 marzo 2013
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​Con Chinua Achebe (morto ieri in un ospedale di Boston, negli Usa, all’età di 82 anni) se ne va un padre fondatore della letteratura africana moderna e uno scrittore di valore mondiale assoluto. Nigeriano, Ibo, nato nel 1930, è uno degli autori che dagli anni Sessanta prorompono con lo strepitoso rinascimento africano: con Achebe l’altro grande padre e maestro, Wole Soyinka, e scrittori di prima grandezza, come Ngugi e Ousmane, nell’area anglofona, e Kane in quella francofona. Tutti questi scrittori adottano la lingua dell’oppressore, sfidando gli intellettuali tradizionalisti che li accusano di tradimento: vogliono che l’Africa parli al mondo, il risultato di questa scelta coraggiosa è che essi cambiano e rigenerano la lingua a cui attingono: l’inglese di Achebe e di Soyinka, come quello del poeta caraibico Derek Walcott, è il più  bello e nuovo del secondo Novecento.Se Soyinka è il maggior drammaturgo del nostro tempo, dopo Beckett, Achebe è il massimo romanziere africano, particolarmente con un ciclo narrativo che solo nell’edizione italiana assume il titolo complessivo Dove batte la pioggia. Edizione italiana a opera di Jaca Book che scoprì e pubblicò subito i grandi scrittori africani di un’epopea credo irripetibile: come non è stata replicata, nonostante tanti importanti autori, quella americana di Hemigway, Fitzgerald, Steinbeck, e quella ispanoamericana di  Marquez e Vargas Llosa, è improbabile che un fenomeno si ripresenti con tale potenza sinfonica nella pur ricca e vitale letteratura africana.In quella meravigliosa fioritura che un editore italiano pubblicò da noi quasi in tempo reale, senza che la cultura italiana se ne rendesse conto (l’Africa nera è ancora oggetto di razzismo, anche qui e ora), Achebe è il romanziere epico, autore di romanzi memorabili a partire dal primo del ciclo, Il crollo, che ha venduto milioni di copie in tutto il mondo. In quell’opera l’autore affronta il mondo africano precoloniale, non astrattamente ma in una precisa parte di quella che sarebbe divenuta Nigeria, e rappresenta con tinte a volte calderoniane a tratti balzacchiane la fine della civiltà antica, il degrado di una ormai declinante età degli eroi. Per la prima volta l’Africa è narrata dal punto di vista africano, in una lingua straordinaria che fonde la lezione dei grandi inglesi come Conrad al lessico Ibo e a un originale pidgin. Il crollo degli antichi valori, ma, come si vedrà meglio nelle opere successive, l’ambiguità esistenziale introdotta dalla civiltà dei bianchi e dallo stesso cristianesimo: in parte la scoperta di realtà ignote e positive, in parte la subordinazione a un ordine e un sistema di valori estraneo al continente e alla sua anima. Drammatica, agonica, la rappresentazione di Achebe, non sfiorata da ingenuità sentimentali: non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra, ma la realtà di un mondo in cui bene e male agiscono in una dimensione concreta e implicitamente cosmologica.  Il romanzo successivo, Ormai a disagio, assume il titolo da un verso di Eliot, nel Viaggio dei Magi, indica la condizione di chi ha conosciuto una nuova visione del mondo, ma non può ancora aderirvi, né ritornare a quella precedente. Tutto concreto, nelle vicende degli uomini Ibo, tutto simbolico, universale: nel disagio e nell’incertezza tragica e comica dell’Africa che cambia, si riflette la situazione di un mondo in crisi, anzi, di una crisi del mondo. Dalla realtà precoloniale a quella successiva, altri grandi romanzi: La freccia di Dio, Un uomo del popolo: la sua narrativa ha la complessa coesistenza di epica, comicità, dramma, storia e metastoria dei grandi modelli di Dickens, Hugo, Verga, e esprime perfettamente un segreto dell’anima africana originaria, ove è impossibile distinguere tra astratto e concreto, in una vitalità perdurante anche nelle situazioni agoniche. L’ultima sua opera uscita da poco, un romanzo sulla tragica esperienza della guerra del Biafra, in cui Achebe e Soyinka, di etnie diverse e nemiche, assunsero analoghe posizione pacifiste. Non ho ancora letto il libro, ma conosco bene le poesie del suo primo e unico libro di versi: lo stesso tema, la guerra del Biafra, l’orrore del sangue e la nascita di una nuova pietà, nera, salente dall’abisso della terra e grondante di compassione. Era partito da lì, da quella guerra, per tornarvi, ottantenne, prima di lasciare questo mondo. Una sola ferita include tutta la sua opera, che la riempie e risana.
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