giovedì 31 marzo 2016
​Lo scrittore ungherese aveva 86 anni. Nel 2003 ricevette il Nobel per la letteratura per "Essere senza destino", il racconto autobiografico di un adolescente ad Auschwitz e Buchenwald. (Alessandro Zaccuri)
Morto il Nobel Kertesz: raccontò i lager
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Con la morte di Imre Kertész (avvenuta questa notte nella sua casa di Budapest dopo una lunga malattia: lo scrittore ungherese aveva 86 anni) si assottiglia ulteriormente il numero dei testimoni della Shoah. Nello stesso tempo, andrà aggiunto, la letteratura europea perde una delle sue voci più originali e coraggiose, alla quale era andato nel 2002 il massimo riconoscimento del Nobel. Scelta non scontata, quella dell’Accademia di Stoccolma, perché Kertész non era l’unico grande narratore magiaro del momento (si pensi, per esempio, a Péter Esterházy). Decisiva, nell’attribuzione del premio, fu la qualità di un libro come Essere senza destino, apparso nel 1975 dopo una gestazione durata dieci anni. Era, in sostanza, la vicenda che l’adolescente Imre aveva vissuto nei lager di Auschwitz e Buchenwald, ma trasfigurata in una visione di particolare severità, nella quale gli aspetti più drammatici del pensiero del Novecento erano messi al servizio di una prosa asciutta e mai rassegnata. Spesso accostato a Primo Levi, Kertész condivideva con lo scrittore torinese la consapevolezza di una vocazione letteraria portata alla luce dallo scandalo della persecuzione. E anche il suo ebraismo, non diversamente da quello di Levi, si collocava in una dimensione più storica e culturale che non strettamente religiosa. Nelle sue opere (edite in Italia da Feltrinelli e Bompiani) Kertész aveva proseguito il corpo a corpo con la storia del suo Paese, dimostrando come, perfino nella tragedia prodotta dagli opposti totalitarismi del Secolo Breve, la ribellione e lo sberleffo conservassero il potere di ribaltare la più cupa e disumana delle situazioni.
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