Si farebbe un grande torto alla verità storica di Fabrizio Fabbrini, tornato alla Casa del Padre mercoledì per i postumi di una caduta che lo ha portato all’immobilità, se lo si ricordasse solo per l’obiezione di coscienza al servizio militare che gli causò la condanna a Forte Boccea. Peraltro, quell’obiezione di coscienza (che diede poi luogo al suo riconoscimento nella legislazione italiana) fu affermata dall’allora dottor Fabbrini a poche ore dal termine del suo servizio militare (compiuto fino in fondo) con la dichiarazione di essere stato fedele alle istituzioni della Repubblica Italiana e che l’obiezione di coscienza al servizio militare era motivata anche dall’essere obbediente al dettato dei Padri della Chiesa, in particolare di Tertulliano. Quell’obiezione di coscienza era consolidata da una prassi di rigore etico della nonviolenza e di una dottrina cristiana che perveniva fino alle tensioni morali di Martin Luther King in una visione storica ecclesiale che poneva nel vescovo di Roma il punto di riferimento di tutta la cristianità.
Nato nel 1938 in una famiglia erede di una tradizione morale caratterizzata da fedeltà istituzionali, aveva trascorso a Roma la sua giovinezza dando vita nella parrocchia di San Saturnino al Circolo Ozanam, punto di riferimento di giovani studiosi che hanno onorato la giurisprudenza e la filosofia italiana. Iscrittosi alla facoltà di Giurisprudenza alla fine degli anni Cinquanta, si addottorò in Diritto romano dopo avere avuto la capacità di ritrovare tra le Chartae conservate nella biblioteca dell’abbazia di San Nilo a Grottaferrata il documento originario che attesta l’Episcopalis audientia, con la quale si fissavano i limiti e i compiti giurisdizionali dei vescovi della cristianità. Il ritrovamento lo portò a tenere una comunicazione sull’argomento all’Accademia dei Lincei. Fu assistente ordinario e poi libero docente di Diritto romano.
L’incontro con Giorgio La Pira fu per lui determinante perché la nonviolenza fosse incanalata nel pensiero lapiriano di cui è stato il massimo conoscitore e diffusore all’interno del progetto cristiano della pace universale dei popoli. Gli insegnamenti successivi di Diritto romano a Ferrara e poi di Storia romana a Siena lo qualificarono come il più consapevole studioso del principato di Augusto, di cui intuì la connessione con l’epopea virgiliana e con le origini della predicazione di Gesù di Nazareth. Lascia uno stuolo di discepoli affascinati dalla sua vocazione al dialogo e alla pace dei popoli. Di ciò gli dà atto la Chiesa fiorentina, che celebrerà i funerali in San Marco a Firenze venerdì 25.