lunedì 26 dicembre 2016
Scomparso a Londra a 53 anni il cantante salito al successo negli anni '80 con gli Wham! con canzoni come "Last Christmas". Lottò contro le major che lo volevano solo sex symbol, uscendone provat
Morto per infarto George Michael, grande talento pop e uomo fragile
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Di sicuro il 2016 passerà alla storia del rock, avendogli rapito mostri sacri come David Bowie, Leonard Cohen, Prince, Keith Emerson, Greg Lake, Paul Kantner (Jefferson Airplane), Glenn Frey (Eagles). E a Londra il giorno di Natale, sberleffo del destino per chi aveva venduto milioni di dischi con Last Christmas (l’ultimo Natale, dall’84 un classico), è mancato per infarto anche George Michael: inattivo da anni sul fronte inediti e però icona del pop degli anni Ottanta/Novanta, nonché fra i pochi ad aver combattuto le major che troppo sfruttano l’immagine trascurando la musica.

Era Georgios Kyriacos Panayiotou il vero nome di George Michael, nato a Londra il 25 giugno ‘63, padre greco-cipriota e madre inglese: la sua carriera era iniziata nel ‘79 con la band ska The Executive in cui già figurava Andrew Ridgeley, coetaneo con cui formò poi il celebre duo degli Wham!. E con gli Wham! Michael si rivelò alle classifiche di vendita, fra glam pop di presa suadente e ritmiche di tendenza: il primo disco (Wham! rap) fu in realtà una faccenda post-punk già centrata sull’edonismo incombente; però Fantastic dell’83 li proiettò al numero uno delle classifiche inglesi, e Wake me up before you go-go l’anno dopo fece il bis negli Usa. A seguire, altre hit (comprese Last Christmas e Careless whisper, già da solista), un tour in Cina e 72mila persone a Wembley; poi dall’86 Michael iniziò a muoversi da solo lasciando l’amico, che oggi lo piange “col cuore spezzato”.


La carriera solista di George Michael prese il via a fine ’87 con Faith, che pur vendendo molto (pare egli abbia venduto in tutto cento milioni di dischi) non lo smarcò dall’immagine di voce adolescente; e l’intimista Listen without prejudice vol.1 del ’90 lo portò solo a litigare con la Columbia per aver scelto di non apparire in copertina né concedere interviste, perché la musica parlasse da sola. E il clip di Praying for time, testo del brano su schermo nero, fu la sua finale dichiarazione di guerra all’industria che, riducendolo a sex symbol, ne aveva fatto passare in secondo piano impegno contro l’Aids e soprattutto voce educata e versatile come poche

L'industria discografica risposte. La Sony, che nel frattempo aveva acquisito la Columbia, mise Michael fuori da ogni circuito, giudicato snob dai fan e con mille problemi personali acuitisi negli ultimi anni, visto che dal 2004 si è parlato di lui per ostentazione di omosessualità, droghe, alcol e numerosi, conseguenti, arresti. Fu il patron della Virgin Branson, che lo liberò dalla Sony, a riportare George Michael in scena, dopo però sei anni di silenzio che incisero non poco sulle sue paure: Older, Ladies and gentlemen, l’album di cover Songs from the last century e l’ultimo Patience, del 2004, ricco di riflessioni contro la guerra e sulla morte. Dopo di questo, fra problemi e fobie, poca roba: un’antologia per i 25 anni, un proposito di ritiro per l’incapacità dichiarata di vivere il pop in maniera adulta, un tour mondiale con orchestra (su cd nel 2014).


Sino al suo spegnersi (“senza sospetti”, polizia londinese dixit) a soli 53 anni, lasciando la musica orfana di una grande voce, di un artista a tratti coraggioso. Una voce, un artista, un uomo che forse però avrebbe fatto di più, nascendo in epoche diverse da quel baraccone plastificato diretto ai teenager che è stata l’industria musicale degli anni Ottanta; e forse avrebbe pure potuto lo stesso, rendersene davvero indipendente. Osando il talento sino in fondo, oltre le sue stesse fragilità.

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