venerdì 11 ottobre 2019
Protagonista dell'arte contemporanea internazionale, aveva 79 anni. Dipingeva monocromi in cui il colore era come luce distillata. Negli ultimi anni è stato molto attivo nel campo del sacro
Ettore Spalletti all'interno della mostra "Un giorno così bianco, così bianco" a lui dedicata nel 2014 dal Maxxi di Roma (Maxxi/Ansa)

Ettore Spalletti all'interno della mostra "Un giorno così bianco, così bianco" a lui dedicata nel 2014 dal Maxxi di Roma (Maxxi/Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

È scomparso questa sera Ettore Spalletti. È morto nella sua casa di Spoltore, lui che era nato nella vicina Cappelle sul Tavo, nelle colline alle spalle di Pescara. In questo contrasto tra una posizione ritirata, defilata, e il suo essere protagonista dell’arte contemporanea – aveva esposto nelle principali sedi internazionali, da Documenta di Kassel (1982, 1992), alla Biennale di Venezia (1982, 1993, 1995, 1997), senza contare Parigi, New York, Madrid, Roma, Napoli... – sembra quasi di vedere un parallelo con le sue opere, così leggere e così dense, dove i colori tenui, impalpabili (l’azzurro, il rosa su tutti) incatenano a sé lo spazio, lo trasformano inesorabilmente.

Ettore Spalletti è stato uno dei grandi interpreti di un pittura cosciente della storia dell’arte internazionale del dopoguerra, concettuale compreso, ma che non tradisce il piacere della visione. Ha dipinto grandi monocromi, superfici uniformi spesso aggettanti (l’arte di Spalletti è sempre un problema di spazio), appena interrotte da un profilo di un altro colore – spesso l’oro – e di una diversa inclinazione. Un tema che l’artista ha portato a una dimensione immersiva, dipingendo interi ambienti: una scelta naturale per lui che riteneva l’azzurro un colore atmosferico, che non esiste come superficie ma che vive nello spazio.

Per Spalletti la parola astrazione non spiegava il suo lavoro, se ne allontanava. Egli stesso diceva che la sua opera era il frutto dell’osservazione della realtà naturale, ridotta all’essenziale. Il colore come luce addensata, distillata: luce naturale e insieme naturalmente altra. Egli stesso così raccontava il suo intervento alla morgue dell’ospedale di Garches, in Francia: «Quello che il mio lavoro può rendere, della gravità e del peso della morte, è l’assenza, la sospensione del tempo. Il luogo che desideravo realizzare, rendere visibile, era quello della chiarezza priva di emozionalità, priva di dolore, di decadimento. Ricondurre l’idea della morte a quella della purezza formale, depurandola e liberandola da ogni coinvolgimento con il “sentire” tragico della vita».

La dimensione meditativa dell’opera di Spalletti si è confrontata con i luoghi della liturgia. Nella cattedrale di Reggio Emilia ha realizzato il candelabro per il cero pasquale: un fusto monumentale come gli esempi medievali, tutto azzurro ma percorso da una vena d’oro, che affondando nel pavimento spinge in alto la luce. L’opera più complessa è la cappella della casa di cura Villa Serena a Città Sant’Angelo, il suo vero testamento spirituale, raccontata tra l’altro con una testimonianza in prima persona all’ultimo convegno di Bose.

Nel 2008 padre Andrea Dall’Asta - con il quale stava lavorando «con affetto» all'adeguamento liturgico della chiesa di San Fedele e Milano - lo aveva coinvolto per le tavole del nuovo Lezionario ambrosiano. La sua Pasqua (una pagina nera il cui angolo piegato sfolgora d’oro) è forse una delle più belle “rappresentazioni” della risurrezione.

La photogallery con il suo intervento nella cappella di Villa Serena a Città Sant'Angelo

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: