lunedì 18 febbraio 2019
Il designer e architetto è morto oggi a 87 anni. Ha firmato pezzi iconici come il cavatappi Anna G e la poltrona Proust. Al centro del suo lavoro la dimensione ludica e spirituale dell'abitare
Alessandro Mendini (Fotogramma)

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È morto Alessandro Mendini, grande protagonista del design internazionale. Aveva 87 anni. È autore di oggetti iconici come il cavatappi Anna G.
Poche persone come Alessandro Mendini hanno saputo tracciare una via colta e popolare insieme per il design, riuscendo a costruire una dimensione iconica inconfondibile, una vera e propria firma, al di fuori dalle piste consolidate di un’eleganza basata sul rigore. Questo perché Mendini aveva recuperato e valorizzato la dimensione ludica dell’abitare, una joie de vivre incarnata in pezzi straordinari e celebri, dalla poltrona Proust, un pezzo capitale datato 1978 – rivisitazione coloratissima di una poltrona finto rococò, superamento scanzonato e deflagrante del kitsch del mobilio buono borghese allora imperante – fino ad Anna G, il cavatappi a forma di bambolina prodotto da Alessi, in cui il designer, con la sua vena fantastica, portava alle estreme conseguenze quell’antropomorfismo da sempre latente nell’attrezzo da cucina.

Alessandro Mendini era nato a Milano nel 1931. Architetto e designer, ha vinto il Compasso d’Oro nel 1979 e nel 1981, ha diretto le riviste “Casabella”, “Modo” e “Domus”, ha ricevuto ha ricevuto l’onorificenza dell’Architectural League di New York e le lauree honoris causa al Politecnico di Milano e all’Ecole normale supérieure de Cachan in Francia. Con il fratello Francesco nel 1989 aveva fondato l’Atelier Mendini.

Al progetto Mendini arriva relativamente tardi. Durante gli studi di architettura si accorge di preferire la pittura, il disegno, la teoria dell’architettura. Nei lavori di metà anni 70 Mendini realizza “oggetti ad uso spirituale” (la sedia Lassù, la Valigia per l’ultimo viaggio), oggetti di design radicale, marcati da una assurdo pratico di stampo surrealista il cui compito è spostare la riflessione dalla funzionalità al significato dell’oggetto a livello esistenziale.

Questo percorso parallelo gli consente uno sguardo a distanza e la maturazione di una poetica svincolata dalle linee di tendenza. La poltrona Proust – nata come pezzo unico, ne sono state poi realizzate una quindicina – è una scossa lisergica nel clima degli anni di piombo. È un segnale che verrà poi amplificato dalle proposte del Gruppo Memphis: non è un caso che la Proust debutti a Ferrara in una mostra curata da Andrea Branzi e Ettore Sottsass.

Ma questa è una linea che Mendini adotterà anche nel design quotidiano. Innumerevoli le sue collaborazioni con aziende come Bisazza, Philips, Cartier, Swatch, Hermés, Venini ma è soprattutto con Alessi che si crea un legame decisivo. «Ognuno di noi – ha scritto Mendini – ha una casa mentale molto più articolata, frutto di parti di case possedute o sognate. È il bisogno di personalità contro l’anonimato della serie, di identificazione contro il grigiore della funzionalità. L’arredamento diventa il teatro della vita privata, quella scena, sommatoria di immagini e di ricordi, dove ogni cosa è finalizzata a creare la “casa palcoscenico”».

L’espansione del sogno nella realtà caratterizza anche le sue architetture, su tutte il Groninger Museum (1994), nei Paesi Bassi, edificio emblematico del postmoderno, in cui coordina gli interventi di Michele De Lucchi, Philippe Starck e Coop Himmelb(l)au: volumi destrutturati, dalle superfici trattate pittoricamente con pattern coloratissimi. Un’architettura performativa e antifunzionale, una macchina felice uscita dal sogno di un bambino.

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