sabato 27 novembre 2021
Il collettivo “Mi riconosci” ha censito i monumenti dedicati a donne in spazi pubblici in Italia: sono solo 148. Ludovica Piazzi: «Rispecchia il predominio della componente maschile nelle istituzioni»
La statua di Cristina Trivulzio di Belgioioso inaugurata il 15 settembre scorso a Milano

La statua di Cristina Trivulzio di Belgioioso inaugurata il 15 settembre scorso a Milano - Fotogramma

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Tutto è cominciato da Cristina Trivulzio di Belgioioso. Intellettuale e protagonista del Risorgimento, ha avuto l’onore di essere rappresentata con una statua inaugurata il 15 settembre scorso a Milano. Ed ecco la scoperta: quella che si può ammirare in piazzetta Belgioioso, di fronte alla casa di Alessandro Manzoni, è la prima statua di donna nella metropoli ambrosiana. Possibile? (Forse no, ma alla fine di questo articolo se ne saprà di più). Così è iniziata la sfida, raccolta dal collettivo di storiche dell’arte ed esperte in beni culturali dall’animo femminista “Mi riconosci”: censire uno per uno tutti i monumenti che in Italia sono dedicati a donne illustri, utilizzando da una parte schede già acquisite, dall’altro contando sulle segnalazione dei cittadini. Dopo diversi mesi di lavoro, tirando la linea, si è arrivati a un numero così basso da sembrare irrealistico: 148.

«Il numero è basso, è vero, ma abbiamo applicato un metodo draconiano – spiega la curatrice della ricerca, la storica dell’arte Ludovica Piazzi, bolognese 'naturalizzata” romana – : ci interessavano solo le statue e i busti accessibili a tutti, quindi all’aperto, nelle piazze, negli incroci, nei parchi. Non abbiamo considerato quelle nei cortili, nelle chiese, negli ospedali, nelle università e nei cimiteri. Non le targhe, non i bassorilievi, non le statue addossate alla pareti. Il numero, comunque, crescerà nei prossimi mesi, perché continuiamo a raccogliere e verificare segnalazioni».

Una delle spiegazioni più consuete alla penuria di statue femminili è che nei secoli scorsi le donne erano tenute ai margini della società e quindi non emergevano. È una obiezione che condividete?

«Solo in parte. Di sicuro le donne in passato hanno avuto meno opportunità di emergere rispetto agli uomini, per una serie di circostanze che conosciamo bene. Ma il fattore determinante è che nelle istituzioni ci sono quasi esclusivamente uomini, e questo si riverbera nella scelta di chi rappresentare nello spazio pubblico. Prova ne sia che ci sono clamorose assenze di donne che hanno dato un contributo maggiore alla società rispetto a tanti uomini che nella statuaria invece sono presenti».

Ci faccia qualche nome.

«Mancano Nilde Iotti e Tina Anselmi. Non abbiamo statue di Elsa Morante e di Gaetana Agnesi, che fu una grande intellettuale dell’Ottocento, né di Trotula De Ruggiero, prima medica d’Europa nell’anno Mille. E malgrado la sua importanza nella storia, di Matilde c’è una sola statua in uno spazio defilato del castello di Canossa».

Nella ricerca che avete condotto emerge che gli autori delle statue, anche di quelle femminili, sono quasi sempre uomini. La scultura dunque è un mestiere da uomini?

«Il fatto che le istituzioni siano uno spazio maschile si riflette anche nella scelta degli scultori. Delle 148 statue femminili che abbiamo censito, 120 hanno una attribuzione certa. Ebbene, il 90 per cento è a firma maschile, in un altro 5% c’è una collaborazione tra artisti e artiste e solo 6 sono realizzate da artiste».

Sarà anche per questo che molte delle statue di donna sono un trionfo dello stereotipo femminile: forme generose, sensualità…

«È vero, molto spesso le donne vengono rappresentate in maniera sensuale. E giovani, anche se hanno vissuto a lungo. Entrambe le statue della principessa Sissi, a Merano e a Trieste, la mostrano con le sembianze di una 16enne, anche se lei in realtà è morta ultrasessantenne. Il monumento che ci ha fatto più arrabbiare, però, è quello dedicato a Francesco Crispi, in provincia di Agrigento. Accanto a lui c’è Rose Montmasson, la prima moglie poi ripudiata, unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille. Lui è autorevole, seduto, lei, che non compare neppure nella targa, è in piedi, coperta solo da una veste leggera che lascia intravvedere tutto, è molto bella, ipersessualizzata. Poi abbiamo scoperto, consultando delle fotografie d’epoca, che la statua non assomiglia per nulla alla vera Rose».

Bella, giovane e sensuale… come La Spigolatrice inaugurata lo scorso settembre a Sapri: più una entreneuse che una contadina…

«La Spigolatrice è un esempio calzante di un’altra caratteristica frequente nelle statue femminili: l’anonimia. Sessanta statue non rappresentano donne reali, ma figure anonime collettive. Di queste, il 12,5% è dedicato alle partigiane, mentre il 70% raffigura mestieri particolarmente faticosi o tipizzati da valori come la cura, l’aiuto, il sacrificio: la mondina, la lavandaia, le madri, le ricamatrici… Anche le mogli di marinai sono una categoria molto gettonata».

Dove si trovano le statue delle donne?

«Solo una percentuale piuttosto bassa – il 36% – è in una piazza. Le altre sono in parchi, ai lati delle strade, in incroci. Anche quando viene concesso alle donne uno spazio pubblico, dunque, è defilato, un po’ di ripiego».

LA MAPPA INTERATTIVA

Alcune amministrazioni locale si sono messe d’impegno. A Firenze il sindaco Nardella ha annunciato che saranno erette cinque statue di donne (Maria Montessori, Oriana Fallaci, Nilde Iotti, Anna Magnani e una che verrà scelta con una consultazione pubblica), e anche Milano e New York City hanno avviato un programma simile. Cosa ne pensa?

«Apprezziamo il fatto che ci si ponga il problema della sottorappresentazione delle donne nello spazio pubblico. Tuttavia non siamo del tutto ottimiste sulla volontà di andare davvero a riempire forzatamente il gap. Il primo motivo è perché molto spesso le donne non vengono rappresentate in maniera dignitosa né viene raccontato con rispetto il loro pensiero e la loro vicenda biografica, bensì ci si concentra sui dettagli fisici. Succede anche per la statuaria maschile, è vero, ma le donne sono sempre rappresentata più svestite e più sensuali. Il secondo motivo è che si tratta di una forzatura, il volere incastrare il femminile in uno spazio androcentrico. Noi pensiamo che i monumenti debbano essere partecipati, nascere dal basso».

Ma se vogliamo recuperare il gap bisogna forzare un po’ la mano. È il principio delle quote rosa…

«È vero, ma vorremmo che venisse ripensato il processo dei monumenti. Sarebbe bello che venissero coinvolti i cittadini, le scuole, e artiste donne. E che le donne fossero rappresentate in modo più corretto».

Ci parli delle statue di sante. Quali sono quelle più rappresentate?

«Abbiamo censito 26 statue di sante, escludendo la Madonna. Abbiamo considerato due colonne votive a Milano, dedicate a santa Maria Maddalena e sant’Elena imperatrice (nota anche come sant’Eufemia). Ci sono due santa Barbara, due santa Maria De Mattias nel Lazio, due santa Caterina da Siena, entrambe a Roma, una con busto al Pincio (dove per inciso compaiono appena tre busti femminili su 229 totali), mentre la seconda è un monumento più recente, del 1961».

E così abbiamo scoperto che Cristina Trivulzio di Belgioioso non è l’unica donna a Milano… Ha qualche nome da suggerire per future statue?

«È difficile avanzare delle proposte perché spesso le figure celebrate nei monumenti hanno un legame con quel territorio. Più che proporre dei nomi auspichiamo che si inneschino nuovi processi che coinvolgano le cittadine e i cittadini a riscoprire le donne significative per il loro territorio e, nel caso, a celebrarle per portare esempi femminili alle generazioni future».

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