sabato 31 dicembre 2016
A San Severino Marche, dove venne pubblicata 50 anni fa, una mostra ricorda “Xenia”, la plaquette dedicata dal poeta alla moglie defunta, con molti echi religiosi
Montale, canti per la Mosca
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Pochi giorni prima che la terra tremasse, il delizioso borgo di San Severino Marche inaugurava la mostra dedicata ai cinquant’anni di Xenia, la raccolta che Eugenio Montale dedicò alla moglie Drusilla Tanzi, poco dopo la sua scomparsa. Passato lo spavento del sisma, che non ha fortunatamente pregiudicato la sede espositiva, la ricca Pinacoteca civica, la mostra è stata prorogata fino alla Pasqua del 2017 e verrà replicata a Stoccolma, dove Montale fu coronato con il Nobel per la letteratura. Ma perché celebrare nelle Marche il cinquantenario della raccoltina, certo la migliore della seconda stagione montaliana?

Prima di includerla in Satura, il poeta volle che Xenia uscisse in pochi esemplari e in veste dimessa affidandosi all’amico Giorgio Zampa, germanista e critico militante. Zampa, nativo di San Severino, cui rimase legato anche quando l’attività di docente universitario e di giornalista l’aveva spostato a Milano, si affidò a una tipografia del paese d’origine. La plaquette che ne uscì nel 1966 era di impeccabile eleganza nella sobrietà. Reca un manipolo di testi tra i più convincenti del Montale maturo, il quale con inusitato ripiegamento intimistico confessa che senza la sua «Mosca», nomignolo della minuscola Drusilla, con gli occhi ingigantiti dalle spesse lenti da miope, si sente perduto. E dialogando con la sua ombra (pura memoria o misteriosa apparizione?), si accorge che, reggendola al braccio per scendere «milioni di scale», chi guidava era lei, orba veggente. Sorridevano di lei, nei salotti mondani, i fatui intellettuali che non sapevano di essere il suo zimbello, l’oggetto del suo infallibile «giudizio universale». Letti di seguito, gli Xenia ci rivelano un Montale nuovo: non il poeta agnostico e sordo allo «scordato strumento cuore», ma un’anima smarrita che riallaccia il dialogo con l’amata e devotissima credente Drusilla, suo angelo visitatore. Il poemetto, poiché tale ci appare la sequenza dei brevi epigrammi, diventa un minuscolo trattato sulle cose ultime.

Agisce nel poeta, ancorché dissimulata, un’istanza sovranamente religiosa: la prima apparizione di Drusilla cade in un momento preciso, quello in cui Eugenio sta leggendo, sulla Bibbia squinternata dall’uso, i versetti di Isaia, profeta-poeta. E quanti segni del sacro sono disseminati nella piccola raccolta, quante sussurrate domande sul mistero dell’esistere! Rileggiamo il colloquio tra il poeta e il sacerdote venuto ad accertarsi che esistano le condizioni per le esequie cattoliche, volute dalla Mosca: «'Pregava?'. 'Sì, pregava Sant’Antonio/ perché fa ritrovare/ gli ombrelli smarriti e gli altri oggetti/ del guardaroba di Sant’Ermete'./ 'Per questo solo?'. 'Anche per i suoi morti/ e per me'./ 'È sufficiente' disse il prete». Se il poeta ironico sorride della devozione per i santi taumaturghi, il 'nestoriano' coglie nella preghiera per i viventi la cifra essenziale della propria pietas: ricordate l’apertura degli Ossi? «Va’, per te l’ho pregato». Sembra un colloquio passato dal magnetofono alla carta ed è invece una formulazione della religio di Eugenio, che aveva concordato con l’amata un segno di richiamo, un 'fischio', per ritrovarsi di là dal muro d’ombra che ora li separa. Xenia, per gli antichi greci, erano i doni che si offrono a chi parte; gli xenia in versi di Eugenio sono un dono per Mosca ma anche un dono di vera poesia per noi. Bastano a costruirci sopra una mostra? Il dattiloscritto del poemetto con correzioni autografe che vi figura è cibo squisito per i denti dei filologi; per la fame degli occhi lo è la ricca serie di disegni e dipinti inediti, regalati da Montale all’amico Zampa, che vi campeggiano, accostati dal curatore sensibile a versi di cui sono il corrispettivo iconico. Spiccano un autoritratto del poeta e la silhouette della giovane «Mosca» sulla spiaggia.

Quelle immagini acquistano valore perché vengono dalla mano che ha steso gli Ossi di seppia, ma anche se da sole non avrebbero assicurato a Montale fama di pittore rappresentano qualcosa di più che un diletto secondario, come osserva Roberto Cresti scoprendovi impreviste suggestioni da Scipione. Un bel catalogo consente di contemplare a distanza i manoscritti e i dipinti esposti, oltre che di leggere gli interventi critici a corredo ( Le linee della mano, a cura di Roberto Cresti, Archivio Bellabarba, San Severino Marche, pp. 140, euro 18). Particolare interesse suscita lo scritto con cui Giuseppe Benelli illustra nel catalogo la figura di Montale che esce dai diari inediti di Zampa, testimone e protagonista della vita culturale del suo tempo. Benelli ricostruisce l’amicizia tra il critico e il poeta, non priva di qualche ombra. Zampa si mostra talora amareggiato dalla condotta di Montale, che si rivela meno generoso di lui. Sconcerta la notizia che il poeta, additato come intransigente antifascista, chiese al ministro Bottai, dopo l’estromissione dal Vieusseux, di essere iscritto al partito. L’uomo, sappiamo, non fu sempre all’altezza del poeta. Comunque sia, quell’amicizia durò una vita, e dura in certo senso anche ora, grazie all’iniziativa di San Severino che intende anche in futuro valorizzare il thesaurus dell’archivio Zampa. E chissà che anche i due sodali, come Eugenio e Mosca, abbiano concordato un segno per ritrovarsi oltre il muro d’ombra.

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