sabato 25 settembre 2010
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Il conto alla rovescia è finito, il Mondiale di pallavolo può cominciare. Un campionato del mondo che, trascurato da giornali e televisione, è quasi passato inosservato al di fuori della stretta cerchia di appassionati. Ma da oggi è un’altra storia. Le squadre scendono in campo e gli azzurri dovranno conquistarsi l’affetto degli italiani cercando di ricalcare le imprese della “Nazionale del secolo”, la squadra diretta da Julio Velasco che, negli anni novanta, ha dominato il mondo, sotto rete. Il difficile compito di risollevare le sorti della nostra pallavolo spetta ad Andrea Anastasi, l’attuale commissario tecnico che quella Nazionale ha visto nascere quando era giocatore. Il ct è stato un allievo disciplinato del “vate” argentino, da lui ha imparato tecnica e psicologia, con lui ha conosciuto l’ebbrezza del successo. Esperienze che ha cercato di trasmettere ai suoi giocatori con un corso accelerato, aiutato da Alessandro Fei, il veterano e l’uomo simbolo della squadra. I primi risultati del nuovo corso sono affiorati negli ultimi mesi con la riconquista dell’Olimpo internazionale: la fase finale della World League riservata alle sei migliori Nazionali. Anastasi è ripartito da zero, o quasi, dopo cinque anni di “schiacciate” in faccia.L’ultimo successo risale all’Europeo del 2005, vinto in Italia, a Roma. Ma quella volta sulla panchina sedeva Giampaolo Montali. E per aggrapparsi alla cabala il ct può correre fino al 1978, a quel Mondiale organizzato in Italia nel quale gli azzurri conquistarono l’argento e un posto al sole nel ranking internazionale. Brasiliani e russi sono i favoriti: i primi hanno tecnica e fantasia, gli altri la potenza atletica. In mezzo ci sono gli azzurri, ma anche cubani, statunitensi, bulgari e polacchi. Il Mondiale giocato sulla carta ha già scelto le finaliste, ma sul parquet spesso è un’altra cosa, le variabili si moltiplicano, specie con l’inedita formula delle tre fasi a gironi. Una formula che ha fatto molto discutere, ma che costringe le squadre ad esprimersi sempre al massimo, evitando “giochetti” e favori agli amici. Una innovazione che fa il pari con l’inserimento del quoziente punti per la classifica, molto più complicato da calcolare e gestire rispetto al quoziente set. E proprio su questa formula, Murilo Endres, stella dei brasiliani, ha scatenato una forte polemica. Le tre fasi allungano il torneo e rischiano di appesantire le gambe ai fuoriclasse: diventa favoritio non solo chi gioca meglio, ma anche chi è meglio preparato. Questa formula, però, si è ben conciliata con l’esigenza, tutta italiana, di portare il volley al di fuori dei soliti circuiti. L’inaugurazione è toccata a Milano, la capitale economica, la chiusura toccherà a Roma, la capitale politica, e non poteva essere altrimenti. Ma la pallavolo è uno sport radicato in provincia, lontano dalle metropoli (le dominatrici degli ultimi anni sono Cuneo, Trento, Macerata, Piacenza e Treviso), e alla provincia è stato assegnato un ruolo da protagonista.  La scelta di giocare in dieci città diverse risponde all’esigenza di portare il volley nelle zone dove ha più seguito, là dove c’è un pubblico competente e passionale. Ma in quelle cittadine, spesso, c’è anche il paradosso di non avere il palazzetto a norma per le partite internazionali, ecco allora la scelta “territoriale”. Il girone degli azzurri, nella prima fase al Forum di Assago, è tra i più agevoli. Questa sera, alle 21, il debutto contro il Giappone. Domani, alla stessa ora, Fei e compagni affronteranno l’Egitto, lunedì l’Iran. Il ciclo della grande Italia degli anni novanta è finito da tempo, è ora di aprirne un altro.
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