mercoledì 22 giugno 2011
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La mia vocazione missionaria è nata per ispirazione del buon Dio e si è precisata leggendo Operarii autem pauci del beato padre Paolo Manna e gli articoli poetici e avventurosi di padre Clemente Vismara, missionario in Birmania che sarà beatificato a Milano domenica prossima. Ma debbo dire che un influsso notevole hanno esercitato su di me i romanzi di Emilio Salgari. Quand’ero ragazzo, si leggeva molto anche perché non c’erano films né radio né tanto meno televisione. I libri di Salgari e di Giulio Verne erano per me, come per tanti altri, la lettura preferita; portavano con la fantasia in mondi lontani e facevano sognare noi adolescenti, presentandoci popoli e paesi sconosciuti da esplorare. Gli eroi di quel tempo erano appunto gli esploratori, gli avventurieri, i personaggi (come Sandokan) che combattevano per la libertà e la giustizia. In me, che vivevo un’intensa vita di preghiera ed ecclesiale, quelle letture aprivano orizzonti sconfinati e – avendo fin da bambino ricevuto da Dio il dono della vocazione sacerdotale – mi facevano sentire un po’ ristretta e soffocante la routine del prete in parrocchia. Tutto questo mi portò ad innamorarmi della vita missionaria e ad entrare nel Pime a 16 anni, nel settembre 1945. Nella mia vita missionaria ho poi avuto la ventura di viaggiare in diversi Paesi e territori nei quali  Salgari aveva ambientato le sue avventure: Cartagena in Colombia (la prima città e diocesi spagnola del Sud America, conservatasi intatta come nel ‘500) e le isole dei Caraibi, descritti da Salgari nel «Ciclo dei corsari delle Antille»: ricordo Il Corsaro nero, La regina dei Caraibi e Il figlio del Corsaro rosso. Poi Mompracem e il Borneo, dove Salgari ambientò il «Ciclo dei pirati della Malesia», di cui sono noti Le tigri di Mompracem, Sandokan alla riscossa, I pirati della Malesia, La rivincita di Yanez e tanti altri. Ancora: il Bengala della dea Kalì e le foreste del Sunderbund, dove si svolgono le vicende avventurose de I misteri della giungla nera e Il bramino dell’Assam. Sunderbund appariva a noi ragazzi un termine oscuro e affascinante per immaginare i «thugs» della dea Kalì e la tigre reale del Bengala; poi ho saputo che nella lingua bengalese sunder è un legno da costruzioni molto ricercato perché resiste all’umidità e non è intaccato dalle termiti, e bund significa semplicemente foresta. Ma ormai la magia delle pagine di Salgari era passata anche per me. Sono stato anche nel Far West americano (Sulle frontiere del Far West), in Sudan e nel deserto del Sahara (Le avventure del Mahdi). Strano a dirsi, ma proprio dove Salgari immaginava e ambientava le sue avventure il mio istituto missionario, il Pontificio Istituto Missioni Estere di Milano, è presente o lo è stato con i suoi missionari. Così nel febbraio-marzo 2004 ho visitato la giovane Chiesa della Malesia peninsulare, del Borneo malese e del Brunei; da un lato, invitato dal vescovo di Kota Kinabalu, per esaminare la possibilità che il Pime ritorni a lavorare in Borneo, dove si registrano molte conversioni fra i «dayak» delle foreste (anche questi citati spesso da Salgari!) e vi è una drammatica scarsezza di sacerdoti e suore (un sacerdote ogni 8000 battezzati); dall’altro per rivedere i luoghi in cui l’Istituto ha lavorato un secolo e mezzo fa: Labuan, Brunei e Sabah. Infatti i missionari del Pime sono andati in Borneo nel 1856, mandati dalla Santa Sede perché in quei territori – indipendenti e sotto sultani indigeni – nessuna struttura della Chiesa cattolica era presente e anche perché il fondatore e capo della missione, lo spagnolo monsignor Carlos Cuarteron, voleva riscattare gli schiavi cristiani rapiti dai pirati malesi sulle coste delle Filippine e venduti in Borneo. La missione poi è terminata nel 1860, quando Propaganda Fide ritenne più urgente mandare il Pime ad Hong Kong, anche per salvarlo dal possibile sterminio della missione, che aveva subito parecchi assalti da parte di gruppi fanatici musulmani e di pirati (il console inglese si era rifiutato di aiutarli, per non mettersi contro i costumi e le autorità locali). È giunto fino a noi una lunga lettera di padre Antonio Riva al prefetto apostolico Cuarteron, nella quale il missionario descrive in modo particolareggiato e drammatico l’assalto subìto il 20 novembre 1859 a Barambang (nel sultanato di Brunei) da parte di un gruppo armato islamico.Il centro della missione del Pime era proprio nell’isola di Labuan, dove ora c’è una fiorente parrocchia. Ho visitato il piccolo cimitero con le tombe dei primi cattolici, cippi antichi con iscrizioni che quasi nemmeno si leggono, ma che i cristiani d’oggi tengono come un ricordo storico importante, per dimostrare la presenza della fede fin dalla metà dell’Ottocento, molto prima della colonizzazione inglese. Dalla spiaggia di Labuan Willie, con un motoscafo, sono andato a Mompracem, che adesso si chiama Pulau Kuraman; è una piccola isola (Labuan ha 92 kmq, Mompracem solo 7), ci sono strade e anche case moderne, ristoranti e scuole, coltivazioni e soprattutto foreste. Ma sopravvivono le antiche palafitte che ho visto nell’interno del Borneo fra i «dayak», con le casette collegate l’una all’altra da passerelle o da una veranda unica che scorre davanti alle singole abitazioni formando quasi un unico lungo cortile. In uno spiazzo in foresta, al centro dell’isola, una stele di bronzo con una lapide di marmo commemora Emilio Salgari e i «tigrotti della Malesia». La lapide, scritta in inglese e in italiano, è stata portata da una nostra missione culturale; alcuni turisti chiedono infatti di visitare l’isola per conoscere l’ambiente di Sandokan, personaggio immaginario ma che in tutto il Borneo è ancora ricordato (esiste tra l’altro la città di Sandakan, la seconda dello Stato di Sabah, che conta il 30% di cattolici). Anche a Labuan esiste ancora il palazzo del console inglese, la cui figlia («la ragazza dai capelli biondi» di Salgari) aveva fatto innamorare Sandokan. E a Kuching, capitale dello Stato di Sarawak sempre nel Borneo, si ammira il palazzo del governatore mister Brooks: contro cui lottava Sandokan, precursore delle guerriglie anti-coloniali.
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