giovedì 19 marzo 2009
Da domani nelle sale «Ponyo sulla scogliera», l’ultimo lavoro del creatore di serie amatissime come «Heidi» e «Lupin III» e di pellicole cult come «La città incantata»
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Se c’è qualcuno che resta indiffe­rente a tutto questo cancan sul­la rivoluzione in 3d nei cartoni a­nimati è Hayao Miyazaki, maestro u­niversalmente riconosciuto dell’ani­me, il cartoon d’eccellenza nipponi­co. Come un vecchio marinaio che al­l’ormeggio vede la terraferma invasa ogni giorno da una diversa diavole­ria, il regista giapponese non sembra voler rinunciare all’arte pura della fantasia e a nutrirsi di storie che san­no di mito. E mentre i cinema si at­trezzano di occhialetti rossoverdi per l’arrivo dell’ultimo prodotto Dreamworks, Mostri vs Alieni, venerdì nelle sale italiane approda Ponyo sul­la scogliera, ennesimo capolavoro di Miyazaki. Ponyo è una pesciolina rossa che do­po l’incontro con Sosuke, un bambi­no di cinque anni, vuole a tutti i costi diventare umana per giocare e rima­nere con lui. Una storia semplice e as­sieme ricca di tutta la complessità simbolica di ogni lavoro di Miyazaki: «È una fiaba avventurosa sull’amore infantile – spiega il regista –. Ponyo porta La Sirenetta di Hans Christian Andersen nel Giappone contempo­raneo ». Un film solo per bambini, è stato definito, che ha fatto storcere il naso a chi in Occidente aveva fatto la conoscenza di Miyazaki con le favo­lose avventure della Principessa Mo­nonoke, de La città incantata e de Il castello errante di Howl, tutte opere venerate da critici e platee di mezzo mondo, contese dai festival più fa­mosi. Ma l’autore che contribuì an­che alla fama di Lupin III e di Heidi non si scompone, anzi, apprezza: «È un bene che ci sia qualcuno che dica che Ponyo è infantile. Ho proprio cer­cato di fare in tutti i modi un film che potesse essere compreso da un bam­bino di cinque anni. I bambini ama­no istintivamente il soprannaturale, perché in un certo senso conoscono i segreti del mondo. Mentre sono gli adulti che li hanno dimenticati». A sessantotto anni Miyazaki continua a dedicare la vita all’immaginario dei bambini, ha costruito il Museo Ghibli, un’oasi di divertimento che più che a Disneyland assomiglia a un parco di Gaudì. «Questa per me è una possibi­lità per stare a contatto con bambini piccolissimi. E mi aiuta a ricordarmi del bimbo Hayao, dentro di me». Il de­miurgo dei sogni animati di piccoli e grandi spettatori guarda al sapere an­tico, quello del cartone classico della migliore tradizione giapponese. Ma­tita, colori, occhi giganti, bocche spa­lancate e tutto l’artigianato poetico delle fiabe, tra Occidente e Oriente. Il pesciolino Ponyo sfida con la sempli­cità delle tavole i mostri e gli alieni tri­dimensionali con le loro arrembanti supertecnologie: «Non ho mai ama­to troppo la computer grafica e sono contento di aver potuto fare tutto a mano per creare e un mondo più cal­do e umano. Un villaggio in riva al ma­re e una casa in cima alla scogliera. Un esiguo numero di personaggi. L’o­ceano come presenza vivente. Un mondo dove la magia è parte della quotidianità e dove il mare è l’altro vero protagonista. È difficile rendere queste emozioni con il computer. Ser­ve la matita con cui noi animatori fac­ciamo muovere le immagini». Miyazaki vede i bambini di oggi ri­spetto a quelli di ieri vivere in un’e­poca più difficile, circondati da mac­chinari e tecnologie che non educa­no ma dividono, tolgono meraviglia alla scoperta e rendono inutile l’a­scolto dei racconti dei nonni: «Quan­do ero bambino io i vecchi venivano trattati con più rispetto e non come persone inutili. In Ponyo invece rac­conto del coraggio di un bimbo e di una bimba, dell’amore, della respon­sabilità e della vita. Con semplicità. Così ho voluto offrire la mia risposta alle afflizioni e alle incertezze dei no­stri tempi». A sinistra, Hayao Miyazaki. Sopra una scena del film «Ponyo sulla scogliera»
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