lunedì 8 dicembre 2008
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Se l’Italia è terra di poeti, santi e navigatori, i missionari condensano con sagacia questa classica definizione italica. E in un’attività specifica - quella di "raccoglitori" di testimonianze etnografiche - hanno esplicitato la loro vocazione ad essere, in nome dell’annuncio del Vangelo, "ponti" tra culture diverse. È un capitolo poco conosciuto, quello dei musei missionari, ma certamente da riscoprire così da apprezzare la ricchezza di un tesoro di reperti provenienti dai quattro angoli del globo, disseminato lungo l’intero Belpaese. Spesso sono scrigni dimenticati queste esposizioni degli evangelizzatori di professione: come quello cinese dei saveriani di Parma, così elogiato dal professor Ye Zhemin, del Museo Nazionale di Pechino: «Qui sono rappresentati tutti i generi di ceramica significativi [della Cina], tanto da formare una sequenza storico-artistica completa». Oppure da risultare degni di ricevere donazioni di qualità, come quella che Franco Monti, vicepresidente dell’Associazione internazionale di Studi etnografici, ha fatto ai passionisti di Bergamo: trentatré statue per lo più maschere o manufatti di legno ¿ raccolte nell’Africa subsahariana, datate tra il XVI e XVI secolo. Pronti, via. Ecco una breve carrellata (ideale) tra sale e mostre permanenti made in mission lungo lo Stivale, lasciando al lettore la curiosità di trasformarsi in visitatore, magari del museo più vicino a casa (molto utile la guida Musei missionariedita da Emi). Se si guarda alla storia, il primato spetta ¿ pari merito a Parma e Torino, rispettivamente ai missionari saveriani e quelli della Consolata: il Museo d’Arte cinese ed etnografico in Emilia e quello Etnografico e di Scienze naturali in Piemonte risalgono al 1901. I fondatori dei due enti religiosi avevano compreso che andare per il mondo a portare il Vangelo a chi non lo conosceva aveva un altro risvolto: riportare in casa segni concreti delle culture incontrate e fino ad allora sconosciute. All’insegna del motto del beato monsignor Guido Maria Conforti, iniziatore dei saveriani: «Fare del mondo una sola famiglia». Già all’inizio della loro fondazione, i missionari della Consolata di Torino dovevano - secondo le istruzioni del beato Giuseppe Allamano -  raccogliere notizie su usi, religioni, lingue delle popolazioni incontrate, collezionando il tutto in un museo per far conoscere dove e come gli evangelizzatori lavoravano per il Regno. Alla Consolata si possono ammirare grammatiche e dizionari delle lingue incontrate dai missionari in Africa, i loro diari, le raccolte di proverbi popolari con relativa interpretazione. Annunciatori di Dio dunque, ma anche novelli "etnografi dello spirito" e pure capaci di inventariare il quotidiano: i missionari hanno raccolto ovunque le testimonianze di come l’uomo ad ogni latitudine si rapporta con la divinità; al tempo stesso, indagatori dei mille e più modi con cui le diverse etnie realizzano il viver quotidiano fatto di caccia, pesca, cucina, commercio - Esempi - Ce ne sono a bizzeffe al Ma, Museo africano dei comboniani di Verona, che ospita una collezione di maschere usate per riti di passaggio, invocazioni per la fertilità o la pioggia, celebrazioni funerarie, ad esempio del popolo dan in Costa d’Avorio, ma anche libri liturgici in arabo e amarico dell’Etiopia cristiana del XVII o i manufatti a carattere mitologico della tribù dogan, nel Mali. All’esposizione del Continente nero dei padri passionisti, invece, si può fare un’immersione in un ambiente africano visitando una rassegna delle merci comuni in vendita ogni giorni nei mercati di là: «Kazi Njema!» è il saluto in lingua swahili che risuona tra Kenya e Tanzania, e che può essere risentito a Basella di Urgnano (Bergamo). Anche dai salesiani di Colle Don Bosco (presso Castelnuovo Don Bosco, Asti) ci si può immedesimare nel mondo quotidiano di genti lontane osservando le armi per la caccia e la pesca degli yanomami del Venezuela o gli oggetti di uso comune dei khasi, popolazione dell’Arunachal Pradesh, nordest dell’India, o ammirando i bellissimi pariko, il diadema di penne dei bororo, indiosdel Brasile. Guardano all’oriente invece, e alle sue molteplici forme religiose, altri saloni: al Pime di Milano si succedono esposizioni temporanee; qui il pezzo "storico" è il Novus Atlans Sinensis, considerato dagli esperti il primo atlante geografico della Cina, uscito dalla penna (e dalle ricerche) del gesuita trentino Martino Martini, che in tale lavoro, per la prima volta, applicò le coordinate geografiche dei meridiani. Anche a Parma si "respira" aria asiatica: tanto che anche alcuni visitatori cinesi hanno potuto godere della vista di opere che la rivoluzione culturale maoista ha mandato al macero a Pechino e dintorni, come il bellissimo Budda in legno laccato della dinastia Ming/Ding del XVII secolo. A Roma, nella cornice dei Musei vaticani, merita più di una sosta l’esposizione missionaria da poco riammodernata: ben centomila pezzi dislocati in quattro sezioni, tra cui spicca quella asiatica, con oggetti da Cina, Giappone, Corea, Tibet, Mongolia: tale forziere di reperti rende il Museo papale missionario il primo al mondo per documentazione sulla cultura religiosa dei popoli extraeuropei. Pure a Lecce, nelle sale del Museo missionario cinese e di storia naturale dei frati minori, l’Asia la fa da padrona: qui si susseguono dodici sale con arazzi, oggetti del culto dei morti, statue di personalità cinesi che portano davanti agli occhi i molteplici aspetti del Regno di mezzo.
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