sabato 16 luglio 2016
​Fra le due città esiste una storica competizione per organizzare un Salone dell’editoria. Il capoluogo lombardo aveva tentato l’impresa, poi naufragata, nel 1987; quello piemontese invece riuscì a condurre in porto il progetto l’anno dopo.
Milano-Torino, tandem per il libro?
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Adesso che siamo alle battute conclusive del tira e molla di dichiarazioni, incontri e proposte, una cosa sola sembra certa:  Torino e la Fondazione che tiene le redini del Salone – in attesa del nuovo presidente – sembrano giustamente intenzionate a difendere con le unghie la loro manifestazione. Non appare invece altrettanto chiaro se saranno interamente affidate all’Associazione italiana editori le prossime edizioni del Salone di Torino, mentre si sta probabilmente componendo il puzzle di che cosa si farà a Milano (o altrove), visto che il vero problema – come ha dichiarato il presidente degli editori Motta –, non è dove ma quale tipo di Salone si fa, per rispondere meglio alle esigenze e alle attese del mondo editoriale. Del resto, la strategia complessiva annunciata dagli editori per le fiere del libro in Italia è chiara: si tratterebbe di elaborare un nuovo modello di sviluppo che preveda non solo l’ideazione, l’esecuzione e la gestione delle principali fiere da parte degli editori e la collaborazione con altre già esistenti, ma che si diffonda una visione d’insieme in cui la promozione del libro e della lettura diventi una realtà permanente lungo tutto l’arco dell’anno. Prospettiva su cui è difficile non essere d’accordo. 

Ma la questione al centro del dibattito e delle polemiche resta attualmente Milano, che vuole muoversi in autonomia e pienezza decisionale, e naturalmente nessuno glielo può impedire, quando si è liberi e soprattutto se si è in grado di decidere senza dover chiedere soldi ad altri. Oltretutto a Milano, capitale dell’editoria,  parecchie centinaia di editori di libri potrebbero aderirvi senza fatica e con un notevole risparmio (niente trasferte, niente alberghi, niente treni, ognuno alla sera rientra a casa propria). Si direbbe dunque che Milano sia, almeno sulla carta, una sede ideale per una manifestazione del genere. Naturalmente, anche Roma potrebbe benissimo essere una sede appetibile per gli editori, nel caso si trasformasse la fiera attuale dei piccoli e medi editori (categorie ormai obsolete) in un Salone nazionale. In tal caso, verrebbero a costituirsi tre poli nazionali, e una casa editrice – come le numerose altre istituzioni (banche, enti locali ecc.) che affollano abitualmente un Salone del libro – sarebbe costretta a scegliere. Lasciando per il momento da parte Roma, anche solo due Saloni nazionali ( Torino e Milano) nello stesso anno, per quanto posti ragionevolmente a distanza di vari mesi l’uno dall’altro, forse sarebbero troppi per non cannibalizzarsi a vicenda (ma forse la peggio toccherebbe a Torino). 

In ogni caso, gli editori finanziariamente meno solidi dovrebbero decidere a quale partecipare. Forse una delle possibilità più concrete – per quanto non esente da problemi di varia natura per gli organizzatori e la sede ospitante – è che un Salone nazionale (per diventare internazionale, di nome e di fatto, ci vuole più tempo) si faccia ad anni alterni, uno a Torino, che per prima ha avuto il merito di realizzarlo, e uno a Milano. Ogni città, com’è naturale, ha il proprio zoccolo duro di pubblico (prevalentemente cittadino e regionale) e, da questo punto di vista, un Salone non farebbe concorrenza all’altro, nel senso che ognuno si terrebbe il suo, dato che il pubblico generico di una fiera difficilmente è disponibile a spostarsi altrove, non essendo gente del mestiere o comunque non avendo motivazioni particolari. Inoltre, non si tratta di 'trasferire' il Salone da Torino a Milano, perché ovviamente Milano lo organizzerebbe ex novo come ritiene più opportuno, eventualmente integrando in un’unica manifestazione anche Bookcity. Certo, secondo questa ipotesi, Torino sarebbe notevolmente penalizzata dal punto di vista economico e del prestigio (la città vive di questo evento, uno dei pochi da sempre trainanti per tutti, dagli alberghi, ai ristoranti ai taxi), ma l’eventuale alternanza non sarebbe comunque un’ipotesi campata per aria.

Del resto, questa rivalità tra Milano e Torino per quanto riguarda il Salone del libro risale a trent’anni fa, e 'Avvenire' – che già più volte l’ha registrata – può fornirne qui una documentata sintesi. Tutto era cominciato con la proposta di una “Fiera nazionale del libro e della stampa”, da realizzarsi a Milano, avanzata dall’Editrice Bibliografica nel dicembre 1986. Dopo vari incontri, il 18 marzo 1987, l’amministratore unico della stessa casa editrice, Michele Costa, inviava una lettera all’assessore della Provincia di Milano, Valentino Mejetta, proponendo di trasformare, alla luce dei risultati positivi ma per alcuni aspetti anche negativi, la Fiera del libro scientifico e tecnico nel “Salone italiano del libro” come «polo di attrazione sicuro e di grande risonanza per tutta l’editoria italiana, il mondo della cultura, della scuola e dell’università, delle professioni e della ricerca». Dopo aver interpellato l’Ente Fiera Milano e avergli presentato una bozza di progetto nell’aprile 1987, si realizzava un incontro degli organizzatori il 13 maggio. Due giorni dopo, Informazioni Editoriali – la società di servizi fondata paritariamente tra Messaggerie e Bibliografica –, inviava una lettera allo stesso assessore per annunciare che «questo Salone del libro – da tempo e da più parti auspicato – sembrerebbe oggi diventare una prospettiva concreta, a giudicare dai risultati di un sondaggio effettuato presso gli editori e dall’impegno che un gruppo di aziende è disposto ad assumersi per gestire l’iniziativa in maniera pressoché autonoma dal punto di vista finanziario». 

Un nuovo documento sullo stato dei lavori, dopo l’ultimo incontro del 13 maggio, veniva redatto il 9 giugno, con una bozza dettagliata di come avrebbe dovuto configurarsi il Salone. L’ipotesi andava verificata con l’Ente Fiera Milano, finché il 23 settembre 1987 – dopo un incontro del giorno prima – era stata inviata una lettera all’Ufficio legale dell’Ente in cui si facevano presenti gli investimenti economici necessari che, «nel silenzio più totale di tutte le istituzioni cittadine», non potevano evidentemente essere assunti da chi aveva proposto l’iniziativa pur rendendosi comunque disponibile ad assumersi l’onere dell’organizzazione, oltretutto «in presenza di una situazione di forte conflittualità con il Salone di Torino», che evidentemente aveva avuto la stessa idea o aveva avuto sentore di quella che si voleva realizzare a Milano. Si era anche stabilito un termine (25 settembre) per una risposta definitiva circa i problemi sollevati, in assenza della quale l’Editrice Bibliografica avrebbe dedotto che non esistevano più i presupposti per organizzare il Salone. Così sarà. Infatti, dopo che l’Ente Fiera Milano sembrava disposto in un primo tempo a partecipare attivamente al progetto e a inserirlo nella Fiera d’aprile (nel 1987, 900.000 biglietti venduti, 3 milioni di visitatori), non ci saranno più contatti. Il Salone, per quanto piccolo, avrebbe dovuto chiamarsi « Grande libreria d’aprile » ed essere ospitato nel Padiglione 35 (4.300 mq). A Torino invece l’iniziativa, ispirata da Angelo Pezzana, sostenuta da Guido Accornero e caldeggiata da Torino Esposizioni, andava avanti. Nasceva così il primo Salone del libro di Torino (19-23 maggio 1988).

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