sabato 27 agosto 2011
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Milano capitale del pensiero. Dall’1 al 6 settembre si tiene all’ombra del Duomo il VII Congresso della Società europea di filosofia analitica (Esap, www.esap.info/ecap7). Evento al quale partecipano studiosi anche di altri continenti e ospiti illustri, come Dan Sperber, Tim Crane e Kevin Mulligan. Ne parliamo con Michele Di Francesco, presidente dell’Esap e preside della facoltà di Filosofia dell’università Vita-Salute San Raffaele.Che importanza ha il Congresso dell’Esap e quale significato riveste per l’Italia, e Milano in particolare, ospitarlo?«Il congresso, per numero di relatori (intorno ai 350) e vastità delle tematiche trattate, è uno dei principali eventi filosofici dell’anno a livello mondiale – e uno di maggiori mai organizzati nel nostro Paese. Per la filosofia italiana è il segnale del suo pieno inserimento nella realtà filosofica europea, ottenuto attraverso un test severo e affidabile: i contributi al convegno sono stati selezionati da un comitato internazionale composto da più di 70 membri, e gli italiani hanno ottenuto percentuali di accettazione paragonabili a quello dei paesi tradizionalmente più avanzati nell’ambito della filosofia analitica. Per quanto riguarda Milano, la cooperazione tra Università Vita-Salute San Raffaele e Università degli Studi di Milano (co-organizzatrici del convegno), alle quali si sono presto aggiunte l’Università Cattolica, lo Iulm e la Fondazione Bassetti, rappresenta sia un risultato importante sia un prezioso punto di partenza».La filosofia analitica ha preso ormai la scena della disciplina. Ma per il grande pubblico possiamo rispiegare quali sono le caratteristiche dell’approccio analitico alla filosofia?«Mi verrebbe da dire, con un pizzico di provocazione, che la filosofia analitica è la filosofia classica, quella basata sulla logica, l’analisi dei concetti, l’attenzione allo strumento linguistico e alle procedure di discussione e confronto delle opinioni – la filosofia praticata insomma da Aristotele, Cartesio, Hume, Kant, prima ancora che dai padri fondatori del movimento analitico in senso stretto, Frege, Russell, Moore, Wittgenstein. I filosofi analitici sono interessati più ai problemi specifici ("qual è la natura della conoscenza matematica?", "l’etica può essere naturalizzata?") che alle visioni generali del mondo; a coerenza e validità di una teoria filosofica, piuttosto che alla sua genealogia o alla sua decostruzione. In questo quadro, oggi il pensiero analitico è forse quello meglio attrezzato al confronto con la scienza e con le sfide etiche e antropologiche poste da sviluppo tecnologico e globalizzazione». Quali saranno i temi e i filoni principali del congresso? «Tra le aree più rappresentate figurano la filosofia della scienza e l’epistemologia, quella della mente e del linguaggio, l’etica e la filosofia politica, l’estetica e la filosofia della religione. Chi non conosce la filosofia analitica potrebbe poi stupirsi del crescente interesse per la metafisica, una disciplina che ha ormai raggiunto un grado di sviluppo impensabile pochi anni fa – e dove il contributo degli studiosi italiani appare particolarmente agguerrito».Verità e relativismo sono concetti dibattuti oggi anche dai media. In che modo i filosofi professionali possono aiutare a rendere il discorso pubblico più rigoroso?«Poche questioni sono così importanti e difficili e nello stesso tempo affrontate in termini così confusi come quella della verità (e del relativismo). Per fare un unico esempio, spesso si confondono verità e certezza e si deriva dall’impossibilità di giungere a conoscenze indubitabili la vacuità dello stesso concetto di verità. Per affrontare queste tematiche occorre rigore di pensiero, pazienza e disponibilità a procedere passo-passo, senza soluzioni affrettate. Serve, insomma, la buona filosofia».Un’impressione diffusa, sebbene spesso erronea, è che gli analitici siano avulsi dai grandi problemi del mondo contemporaneo, per i quali anche dai filosofi ci si aspetterebbe un contributo di analisi. Quanto c’è di vero?«La filosofia analitica non è lontana dai grandi problemi della conoscenza, dell’etica, del diritto che si manifestano nella nostra relazione con il mondo contemporaneo. È vero però che il tecnicismo di molte discussioni analitiche si rivela spesso ostico per i non addetti ai lavori. Un po’ di autoironia, di "pop-filosofia" o di "filosofia minima" non potrebbero che aiutare in questo senso».L’altro pregiudizio che grava sulla filosofia analitica è che sia un’abdicazione alla nostra tradizione per abbracciare a tutti i costi la prospettiva anglossassone...«Ma qual è la nostra tradizione? Io faccio il filosofo della mente e scrivo, in italiano e in inglese, partendo da problemi che sono nati nella prima metà del Seicento dalla critica mossa da Cartesio ad Aristotele e alla Scolastica. Cosa ci sarebbe di anglosassone in tutto questo? Qui non si tratta di "fare gli americani", ma di affrontare i problemi della filosofia con i migliori strumenti disponibili, senza steccati: ad esempio, proprio nell’ambito delle neuroscienze si è sviluppato un dialogo fecondo tra tradizione analitica e fenomenologia».Una volta il filosofo eminente era anche un intellettuale pubblico, da Garin a Bobbio, da Abbagnano a Del Noce. Chi sono oggi le figure di riferimento nella filosofia analitica italiana?«Questa domanda può farmi perdere un sacco di amici! Citando qualche nome un po’ come viene, posso ricordare Andrea Bonomi (Milano), Roberto Casati (Parigi), Mario De Caro (Roma), Mauro Dorato (Roma), Maurizio Ferraris (Torino), Elisabetta Galeotti (Vercelli), Eugenio Lecaldano (Roma), Diego Marconi (Torino), Paolo Parrini (Firenze), Eva Picardi (Bologna), Marco Santambrogio (Parma), Tito Magri (Roma) e Achille Varzi (New York)».
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