mercoledì 30 marzo 2016
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Milano, via Celoria 16: all’interno del Dipartimento di fisica dell’Università di Milano sorge quella che, a buon diritto, figura, non solo su piano nazionale, quale punta di diamante della sperimentazione nanoscientifica, ovvero, il Centro interdisciplinare materiali e interfacce nanostrutturati, diretto da Paolo Milani. Come si è evoluta la ricerca negli ultimi anni? «Si è assistito ad un cambiamento sostanziale, soprattutto nell’approccio. Ora le nanotecnologie sono considerate abilitanti di per sé in vari settori, in particolare, quello elettronico e biotecnologico. Citando gli apparecchi diagnostici in cui le nanoparticelle sono impiegate come mezzo di contrasto, si comprende quanto esse siano entrate nella “quotidianità” della produzione industriale, miniaturizzate a tal punto da rendersi invisibili ed estremamente efficaci. Non fanno più notizia, ma il loro valore e peso sono strategici». Dunque il potenziale di innovazione delle nanotecnologie non può dirsi esaurito? «Esatto. Ci stiamo cimentando nella realizzazione di sistemi complessi di grande importanza per la scienza di base e per le applicazioni correlate, in particolare, nella manipolazione di mattoni su scala nanometrica destinati a costituire sistemi con la complessità tipica di quelli biologici. Le nanotecnologie sono state e continuano ad essere una palestra insostituibile per sviluppare un approccio trans-disciplinare a problemi e soluzioni ». In che senso le nanotecnologie sono abilitanti alla fabbricazione di strutture complesse sul modello di quelle biologiche? «Controllando l’assemblaggio di materiali a partire dalla scala nanometrica, è possibile organizzarne la struttura ed influenzarne la crescita a livelli via via superiori. Il controllo su questa dimensione permette inoltre di modulare le proprietà in modo che il materiale reagisca a stimoli esterni variando in maniera reversibile forma, colore ed elasticità. È grazie a queste proprietà che si giunge a nuove classi di dispositivi strutturati che vanno sotto il nome di “robotica soffice”». I sistemi nanostrutturati ed i robot 'soffici' pongono interrogativi etici? «Non più di quanto facciamo i materiali comunemente assemblati e gli automi (“robot”) attualmente in uso. Siamo lontanissimi da sistemi in grado di sviluppare una autonomia o addirittura un’autoconsapevolezza proprie tali da porre questioni etiche. Ed, anche per il futuro, escluderei che in questa direzione sarà mai possibile fabbricare sistemi che simulino anche le più semplici forme di vita, se non nel movimento e nell’uso sapiente dell’energia. I robot “soffici” sono meno pericolosi e più versatili dei loro parenti “rigidi”, ed estremamente più modesti per consumo di energia. I problemi etici connessi alla loro introduzione sono gli stessi che sorgono per la funzione ed applicazione associate a qualsiasi altra tecnologia. Si tratta di una questione generale e di fondo della scienza, non specifica alla nanoscienza ». Il sistema della ricerca in Italia è pronto ad affrontare questo cambiamento di paradigma? «Il contributo italiano allo sviluppo ed allo sfruttamento di nanotecnologie è stato cruciale, pur se penalizzati da condizioni di carenze di mezzi e infrastrutture in cui versa il Paese. Come noto, in Italia la ricerca scientifico-tecnologica non figura tra le priorità, condannandoci ad un ruolo sempre più marginale. Il nostro campanilismo scientifico comporta il rischio di mostrarci poco attrezzati a gestire iniziative multidisciplinari: di grande giovamento sarebbe la creazione di un’Agenzia della ricerca sull’esempio di altri Paesi avanzati, ma per arrivare a ciò, dovremmo prima aver compreso che c’è in gioco il nostro futuro e non solo prestigio e orgoglio patriottici». Silvia Camisasca © RIPRODUZIONE RISERVATA Il direttore del Centro materiali e interfacce nanostrutturati di Milano: «Pongono gli stessi problemi etici di ogni altra tecnologia. Si tratta di questioni di fondo della scienza, non solo di quella “nano” Ma siamo lontanissimi da forme di “coscienza”» RICERCA. Paolo Milani
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