martedì 19 settembre 2017
Sono sempre di più i giovanissimi extracomunitari che una volta sbarcati in Italia vengono illusi e ingannati da dirigenti cinici e senza scrupoli
Calciatori migranti, ecco la truffa del pallone
COMMENTA E CONDIVIDI

Sta diventando qualcosa di molto simile a un far west privo di regole dove si muovono personaggi senza troppi scrupoli che giocano con le illusioni di migliaia di ragazzi. Il calcio è una delle valvole di speranza per i giovani sbarcati sulle coste italiane, accolti nei centri dove ricevono la prima assistenza e attendono di uscire per iniziare una vita il più possibile normale. I primi a capire che lo sport più popolare al mondo può essere un volano di integrazione sono gli operatori e gli assistenti sociali dei centri: il pallone viene usato come strumento per imparare l’italiano e far divertire gli immigrati nelle lunghe ore vuote di giornate tutte uguali. Fanno notizia le squadre formate da soli immigrati che partecipano alle serie minori, pur senza poter “fare” classifica perché si tratta di formazioni composte in maggioranza da extracomunitari, quindi bisognose della deroga Figc.

Talvolta capita che qualche giovane straniero inizi a giocare in squadre dilettantistiche vicine ai centri, primo passo ideale per inserirsi nella realtà italiana. Ma qui iniziano le complicazioni. Non sempre i dirigenti di questi club sono animati da buone intenzioni. Capita che la loro prima preoccupazione sia quella di setacciare i ragazzi africani alla ricerca della pepita d’oro da lanciare a livello più alto. Su questo filone si sono inseriti intermediari che organizzano veri e propri provini aperti ai profughi dei centri della provincia o della regione. Capita in diverse zone d’Italia. Recentemente è successo nelle Marche. Stessa dinamica anche in Sardegna, una delle regioni che accoglie più immigrati. Ai giovani, quasi tutti in attesa di una risposta alla richiesta di asilo, viene fatto balenare il sogno di giocare in Serie C o D grazie ai contatti (più o meno reali) di questi presunti talent scout. È evidente che il passaggio a un club di Lnd o Lega Pro potrà essere effettuato da pochissimi ragazzi, ammesso che succeda davvero.

Per far capire l’effetto rovinoso al quale possono andare incontro questi giovani, già alle prese con un destino complicato, basta questo episodio raccontato da un’assistente sociale di un centro di prima accoglienza siciliano. Vedendo una partita tra rifugiati sul campetto della struttura, un operatore di una troupe televisiva inglese, venuta a realizzare un reportage sugli sbarchi nel nostro Paese, aveva iniziato a parlare di un possibile sbocco in un club professionistico inglese per un ragazzo africano che mostrava una certa confidenza con il pallone. Il direttore del centro aveva prestato fede a questa proposta trasferimento oltre Manica con possibilità di studio unita al calcio - prima che tutto si rivelasse una montatura fondata su collegamenti poco concreti. Inevitabile la delusione del giovane profugo piombato nella più cupa tristezza dopo l’esplosione della bolla. Fatte le debite proporzioni, questo sentimento è lo stesso che prova ogni richiedente asilo portato a questi provini rabberciati, prima di tornare nel suo rifugio temporaneo senza aver avuto alcun contatto con il calcio di Serie C o D. Ma il far west non si ferma qui. Sta diventando una prassi far sembrare uno sbarco avventuroso l’arrivo in Italia di un giocatore extracomunitario notato da qualche osservatore sui campi africani oppure segnalato via dvd. Una volta arrivato nel nostro Paese questo baby calciatore butta via i documenti, che sono serviti al viaggio e all’ottenimento del visto turistico, e si trasforma in un richiedente asilo che fugge da zona di guerra con nome diverso ma non verificabile. Così la società che lo tessera può utilizzare questo status per non occupare la casella di extracomunitario ed evitare di pagare il premio di formazione al club africano dove il giovane giocatore è cresciuto. «Succede sempre più frequentemente. D’altronde il club non corre rischi perché effettua il tesseramento sulla base dei documenti rilasciati dalla Prefettura in attesa degli esami che comunque accerteranno solo l’età del ragazzo, non la sua effettiva provenienza. E in ogni caso lo faranno dopo parecchio tempo visto l’enorme arretrato», racconta Filippo Pirisi, avvocato e agente cagliaritano che ha seguito i primi passi della carriera italiana di Jawo Lamin, 22enne attaccante gambiano del Feralpi Salò, in prestito dal Carpi, arrivato in Italia con un barcone dalle coste libiche.

Jawo è stato scoperto dai dirigenti del Savona a un provino al quale era stato avviato da Pirisi e dal socio Giambattista Alimonda dopo aver fatto vedere di saperci fare col pallone all’interno del centro alle porte di Cagliari dove viveva. Una selezione organizzata ogni anno per visionare i talenti sardi più interessanti. Un percorso ben delineato e molto diverso rispetto a quello dei provini dove si dispensano speranze prive di fondamento.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: