giovedì 31 dicembre 2020
Il ricordo del grande progettista, autore della chiesa dell’Autostrada con la sua iconica forma di tenda. Tra i suoi amici c’era don Lorenzo Milani
Giovanni Michelucci con il modellino della chiesa dell’Autostrada del Sole

Giovanni Michelucci con il modellino della chiesa dell’Autostrada del Sole - Mondandori

COMMENTA E CONDIVIDI

Il 31 dicembre 1990 moriva a Fiesole l’architetto Giovanni Michelucci. Di lì a due giorni avrebbe compiuto 100 anni, essendo nato a Pistoia il 2 gennaio 1891. Dire Michelucci – nell’immaginario collettivo di chi ha familiarità con l’architettura – è dire la chiesa di San Giovanni Battista ovvero la chiesa dell’Autostrada, a Firenze, anche se egli progettò pure la chiesa parrocchiale di Longarone, la chiesa della Vergine di Pistoia, la chiesa del villaggio Belvedere, il sacrario per i caduti di Kindu a Pisa, e collaborò con altri architetti e ingegneri alla costruzione della stazione Santa Maria Novella di Firenze; come dire che per una cinquantina di anni fu una presenza vivace, coraggiosa e intelligente nella architettura italiana. Il trentesimo anniversario della sua morte verrà ricordato, a cura della Fondazione Michelucci di Fiesole, nella chiesa dell’Autostrada in una maniera modesta e sobria, per i noti motivi dovuti al Covid, ma è bene che le parole si facciano carico di far memoria di questa grande personalità. Come tanti grandi artisti, Michelucci volava alto nella fantasia e nell’elaborazione di figure architettoniche che dessero slancio e vitalità nell’azzurro del cielo, e d’altra parte col suo carattere “schivo e puntuto”, in certe occasioni non incoraggiava l’occasionale visitatore.

Tutto era nella sua mente come fantasia e progetto che man mano si scioglieva in pietra e cemento nella piana circostante, perché l’arte – architettonica o pittorica o musicale – va oltre limiti personali, dovuti al carattere o alle abitudine sedimentate. «Questa chiesa di San Giovanni Battista all’Autostrada – scrisse nel 1964 , poco dopo la Dedicazione – è una piccola città, uno spazio modulato nel quale gli uomini, incontrandosi, dovrebbero, se il linguaggio architettonico ha raggiunto la sua efficacia, riconoscersi in un interesse e in una speranza comune, che è quella di ritrovarsi». Così lui l’aveva concepita e poi strutturata: la chiesa come luogo d’incontro, di sosta, di preghiera, come una tenda dentro la quale ci si rifugia, «una tenda portata da dei bastoni ». E così fu, nonostante tante difficoltà e tanti contrasti affrontati, sia perché il primo architetto incaricato aveva già iniziato a fare dei lavori, e sia a causa delle opinioni diverse e a volte contrastanti incontrate durante l’opera. Ne è venuto fuori una struttura architettonica solenne, maestosa con un suggestivo gioco di incrocio tra le pietre e il cemento: un tipo di marmo rosato, proveniente da San Giuliano di Pisa, con un folto numero di scalpellini provenienti da tante regioni d’Italia, che lavoravano secondo le proprie tradizioni locali. Prezioso lavoro d’insieme sotto la presenza costante dell’architetto, alto e minuto.

«Io sono amico degli operai – ebbe a scrivere – Con gli operai comincio a parlare della bellezza della pietra e dei mattoni che bisogna scegliere. Così comincia un dialogo che è proprio necessario per mantenere una continuità del lavoro e per ottenere un certo rendimento qualitativo». Di Michelucci rimane un ricco epistolario con i maggiori uomini di cultura fiorentina del secondo dopoguerra come Piero Bargellini, don Lorenzo Milani. A quest’ultimo, in data 7 novembre 1965, scriveva tra l’altro: «Caro don Milani, mi scusi la familiarità con la quale inizio questa breve lettera, ma non saprei come cominciare diversamente perché la visita che ho fatto a Barbiana ha lasciato in me un ricordo veramente caro. Dirò di più, quell’incontro mi è stato, mi è e mi sarà “utile”». La chiesa dell’Autostrada è stata ed è meta di tante visite, religiose e artistiche, di singoli e di comitive anche straniere che amano uscire dal casello autostradale Firenze Nord per entrare in un luogo di pace e di preghiera. Tra questi pellegrini di grande prestigio segnaliamo Le Corbusier e Giovanni Paolo II il quale il 14 novembre 1965, quando era arcivescovo di Cracovia, recandosi al Concilio Vaticano II, si fermò in preghiera e scrisse una dedica: “Deus adiuvet in ministerio”.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: