mercoledì 11 gennaio 2017
Franco Miano (Foto Siciliani)

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«Ogni riflessione sulla morale non può non fare tesoro dell’apporto scientifico, dei contributi che le diverse discipline empiriche apportano all’indagine. Tuttavia, non mi pare vi possa essere un vincolo alla morale da parte della spiegazione evoluzionistica, né a monte né a valle».

Franco Miano è presidente della Società italiana di filosofia morale (Sifm) e docente della stessa disciplina all’università di Tor Vergata. È abituato a confrontarsi con le prospettive naturalistiche, ma quella proposta da Tomasello gli sembra a rischio di riduzionismo, per lo meno metodologico, nel momento in cui pretende che il suo approccio sia esclusivo. «Vi sono tante dimensioni della moralità. Sul fronte della sua genesi, pur con limiti e condizionamenti, non si può negare la scaturigine in un punto sorgivo legato all’interiorità della persona. Sul versante del suo sviluppo, non si può negare la responsabilità nella risposta che ciascuno elabora a partire delle proprie esperienze nella forma della libertà».

In altre parole, i meccanismi della cooperazione, per quanto importanti, non chiudono lo spazio delle ragioni dell’agire in un automatismo creato dall’evoluzione per selezione e adattamento. Quello che manca, sottolinea Miano, è una visione più complessiva di uomo e di persona in cui emergano componenti fondamentali per la moralità, ossia la libertà e la responsabilità.

«L’elemento della cooperazione è certamente rilevante, ma acquista senso se la risposta avviene sulla base di una relazione che mi provoca e mi interpella. È moralità quella che ha la sua radice nell’esercizio interiore di una risposta che supera il dato funzionale e meccanico del rapporto cooperativo».

Qui entra la ricerca di senso che sta a fondamento delle scelte morali. «L’invito di Cassirer a considerare l’uomo innanzitutto un animale simbolico resta valido nel cercare di comprendere il rapporto tra natura e cultura – ricorda il presidente della Sifm –. Inoltre, non si può trascurare il nesso che vi è tra la norma scritta nell’interiorità della persona e la tensione universalizzante della dimensione etica. Perché si possa parlare di morale, deve esistere un’autenticità del coinvolgimento personale e la sincera ricerca di ciò che vale universalmente». Emerge così la distanza dal modello elaborato da Tomasello e altri scienziati: «I piccoli gruppi possono essere l’ambito di partenza, ma non possono limitare lo spazio della moralità», rimarca Miano. L’errore principale si ha dunque quando la scienza vuole essere l’unica visione del mondo. «È sicuramente uno dei racconti, ma non l’unico».

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