mercoledì 10 novembre 2010
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L’ufficio di Andrew Pinsent, direttore per la ricerca del centro Iam Ramsey per la scienza e la religione, è proprio nel cuore della università di Oxford, a St. Giles, accanto a Blackfriars hall, quartier generale dei domenicani. «Un segno evidente che i cattolici sono tornati qui, nel cuore dell’establishment inglese, dopo i quattrocento anni seguiti alla Riforma, a pieno titolo. Oggi anche i gesuiti e i benedettini gestiscono college all’interno dell’università dove gli studenti possono alloggiare e studiare», spiega Pinsent.La sua formazione, scienziato e sacerdote con un dottorato in filosofia e teologia e uno in fisica è un po’ insolita e a questo mix a metà tra ragione e religione, è dovuta la sua nomina a responsabile di uno dei centri della facoltà di teologia di Oxford. Proprio in questo ateneo Pinsent si laureò in fisica delle particelle per poi andare a lavorare nel centro svizzero Cern insieme a Carlo Rubbia. Dopo alcuni anni in Sud America, a lavorare per la società Itaù, Pinsent ebbe una vocazione alla vita religiosa che lo portò all’Università Gregoriana di Roma, a studiare filosofia e teologia per sette anni. Dopo un dottorato in filosofia all’Università americana di Saint Louis, in Mississippi, Pinsent è arrivato a Oxford un anno fa.«Il mio lavoro», spiega don Pinsent, «è uno dei pochi che combina discipline così diverse e il nostro centro costituisce un punto di riferimento per sette ricercatori che lavorano a metà tra la scienza e la religione. In uno di questi progetti, per esempio, stiamo studiando come il concetto di Dio si inserisce nel modo in cui gli esseri umani pensano», racconta ancora don Pinsent, «Stiamo scoprendo che nei bambini il concetto di un Dio come essere onnipotente e onnisciente è innato. Già all’età di sette anni un bambino dice che la sua mamma può fare degli errori, ma Dio non può fare errori. Per dimostrare questa ipotesi stiamo studiando alcune tribù in Africa. È sorprendente come alcuni tratti di Dio tipici del cristianesimo ritornino in altre culture e religioni. È significativo anche che regimi che si proclamavano atei e hanno voluto abolire Dio, come quello sovietico, hanno poi riempito questo vuoto con il culto di una personalità umana come Stalin. Come il culto delle celebrità televisive o del mondo dello spettacolo rivela il vuoto lasciato da Dio nella nostra società. Quasi che l’uomo non possa fare a meno di Dio».E lei personalmente di che tipo di ricerca di occupa?«Del rapporto io-tu nella scienza, in filosofia e nella teologia. Sono partito da alcune ricerche scientifiche sui bambini autistici e ho scoperto che in loro è inibita la capacità di impegnarsi in quello che chiamiamo "joint attention task" ovvero una collaborazione con un’altra persona per un compito comune che può essere anche molto semplice. I bambini di solito chiedono "Cos’è questo? Cos’è quello?" e, collaborando con l’adulto per rispondere a questa domanda compiono una "joint attention task". Si tratta soltanto di uno fra tanti esempi. Chi soffre di autismo non è in grado di mettere in atto questa collaborazione e gioca da solo».E qual è il collegamento con la teologia?«La mia scoperta è stata che Tommaso d’Aquino, 750 anni fa, nella sua Summa theologica, parlava dello stesso fenomeno. Quello che lo Spirito Santo fa, secondo Tommaso d’Aquino, è metterci in un rapporto di "joint attention task" con Dio. Occorre trovarsi in uno stato di grazia, attraverso i sacramenti, perché questo accada. Quello che dice san Tommaso non è nuovo, ma, grazie alle scoperte della scienza, abbiamo una nuova comprensione di questo passaggio particolare della sua teologia».Questo rapporto personale io-tu con Dio è tipico del cristianesimo?«Sì. Mentre Aristotele non si è mai rivolto a Dio con il tu, benchè parlasse di un Dio buono, potente ed eterno, gli intellettuali cristiani come Agostino cominciano a parlare di una relazione in seconda persona con Dio. Insomma prima del cristianesimo si può parlare di un autismo spirituale, nel rapporto con Dio, che viene portato via dal cristianesimo attraverso la grazia. Con Gesù c’è un nuovo modo di mettersi in rapporto con Dio che diventa una persona, un tu».È quello che dice il Papa quando sostiene che non si può dire di credere se non si ha una relazione personale con Gesù Cristo.«Una delle grandi tentazioni del cristianesimo è cercare la perfezione, per esempio. Invece la fede è un rapporto personale con Dio che diventa nostro amico. Per questo e’ importante pregare. Perché non si può dire di essere amici di qualcuno che non si incontra mai».Il Papa ha parlato, proprio qui in Inghilterra, anche del rischio di separare fede e ragione.«Sì questo è molto vero nella nostra epoca, che tende ad avere un freddo razionalismo da una parte e il fanatismo dall’altra. Il problema oggi non è se Dio esiste, ma che cosa è Dio. È evidente che la mancanza di Dio viene sempre sostituita da qualcosa. Nelle librerie inglesi, per esempio, c’è un aumento di libri dedicati all’occulto, ai vampiri, alla magia e allo spiritualismo, segno evidente che c’è una ricerca di spiritualità che è stata privata della ragione».
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