martedì 22 marzo 2011
Inaugurato a due passi dall'abitazione: per ora solo i suoi mobili arredano una stanza che ripropone le atmosfere in cui visse e creò. Il sindaco: «Uno spazio per le giovani promesse». la figlia Emanuela: bello, ma è solo l'inizio.
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I toni alti, propri delle celebrazioni, diventano via via più intimi quando la parola passa agli amici che le furono vicini nella vita terrena: «Alda Merini non aveva sfumature, o ti amava o non ti voleva vedere», ricorda uno. «Era una persona solidale, la poetessa degli ultimi. Spesso mi passava le banconote da portare ai carcerati di Bergamo», dice l’altro. Apriva così i battenti ieri a Milano, in via Magolfa, a due passi dalla sua storica casa sui Navigli, il Museo Merini, e a tagliare il nastro c’erano il sindaco Letizia Moratti con l’assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory.«Oggi avrebbe compiuto 80 anni. Qui dentro c’è la sua vita - ha annunciato la Moratti -, ma ci sarà soprattutto una Casa della poesia per i giovani, perché ciò che lei ci ha donato possa continuare nelle future generazioni». Un augurio ripreso dal presidente della Casa della Poesia della Palazzina Liberty, Giancarlo Maiorino: «Qui faremo due incontri a settimana e instraderemo i giovani in questo mondo fantastico, che induce a vedere la bellezza non solo come elemento esterno, perché la poesia arriva diretta, senza difese».Per chi frequentava davvero casa Merini e soprattutto il genio creativo della poetessa che vi abitava, manca ancora l’"anima", fatta dei suoi oggetti, del suo sacro disordine, dei suoi muri coperti di scritte, dell’immancabile odore di sigarette che annebbiava le stanze, ma «oggi si realizza quanto promesso, abbiamo lavorato fino a ieri e ce l’abbiamo fatta», sottolinea con una certa commozione l’assessore Finazzer, e promette di nuovo: «Per ora ci sono il letto, il pianoforte, ma presto arriverà il resto... E dei muri, questa volta lo confermo, strapperemo l’intonaco per ricostruirlo qui». Anche la porta che si apriva in Ripa di Porta Ticinese a tanti ammiratori diventerà l’emblematica soglia attraverso la quale i visitatori avranno accesso. «Mi auguro sia solo l’inizio e che diventi un vero museo - commenta Emanuela anche a nome della sorella Barbara (assente per protesta perché «a noi figlie un invito non è arrivato» e perchè «lei amava gli ultimi e oggi lì avrebbe voluto solo loro») -. Mi aspetto che trovi spazio anche l’umorismo di mia madre, capace di sprofondare nella disperazione e poi farti ridere con le sue barzellette. Le luci erano accese notte e giorno e la musica era sempre presente». Per ora risuona, inconfondibile, la voce roca della poetessa.
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