giovedì 7 novembre 2019
Una mostra racconta un secolo di firme, progetti e aziende tra Tirolo, Alto Adige e Trentino: grande industria, ricerca su forme e materiali, la sfida dell’alta quota. La via alpina al moderno
Gli sci White Stat, Blu Star e Black Star di Kneissl, anni 60, Kufstein, Austria (© Anna Maconi )

Gli sci White Stat, Blu Star e Black Star di Kneissl, anni 60, Kufstein, Austria (© Anna Maconi )

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Arredi e macchine fotografiche. Radio Balilla e impianti di scarico per auto sportive. Biciclette in alluminio e posate. Giocattoli di legno e carte in fibra di mela. Il filo rosso che li lega ha il profilo frastagliato delle vette al di qua e al di là del Brennero. È il panorama che emerge da “Design from the Alps. Tirol Südtirol Trentino 1920-2020”, una mostra a Merano Arte (fino al 12 gennaio) e un volume (monumentale, molto più che un catalogo: Scheidegger & Spies, 460 pagine, euro 48,00) che portano alla luce i frutti di una ricerca lunga due anni da parte di Claudio Larcher, Massimo Martignoni e Ursula Schnitzler.

L’intento del progetto – spiega Martignoni, docente di Storia del design alla Naba di Milano – era «testare il comportamento e l’attività, nell’orbita del design, di una terra dominata dalle montagne che poggiava su un contesto culturale e produttivo unitario e si era poi improvvisamente trovata, dopo la Prima guerra mondiale, su due traiettorie opposte».

Un test su un arco lungo un secolo, da cui emerge un’idea chiara: «Il confine geografico e linguistico non esiste nel mondo del design. Dopo il 1918 fino a oggi abbiamo un vero parallelismo di modalità operative e indirizzi estetici da una parte dall’altra del Brennero, a prescindere dalla traumatica spaccatura. Nel design non si può essere nazionalisti, non ha senso».

Commenta Larcher, direttore del dipartimento di design alla Naba: «Ciò che appare è che si tratta di un frammento di storia europea più che di una storia locale. Lo stesso titolo stimola l’apertura del ragionamento sul territorio più che sulla de- finizione di un’identità culturale».

L’area che comprende Trentino, Alto Adige e Tirolo costituisce «un territorio poroso – dice Martignoni – il naturale ponte di collegamento tra il nord germanico e il sud mediterraneo dell’Europa». Anche la ricerca si è data confini permeabili: comprende autori nati nell’area e aziende che vi operano. Questo fa sì che si trovino designer che nascono qui ma in parte o in toto lavorano altrove: il caso più eclatante è Ettore Sottsass jr, che nel 1929 arriva a Torino con il padre, Sottsass sr, e lavora a Milano, eppure si definisce sempre “trentino”; Martino Gamper, nato a Merano nel 1971, tra i nomi più importanti del design contemporaneo, vive e lavora a Londra. Allo stesso tempo vengono annoverati autori “foresti” come Branzi, Grcic, Rehfeld, che firmano per aziende alpine. C’è pertanto un duplice dinamica: alla diaspora creativa di chi si sposta nei maggiori centri europei (magari per tornare e e ripartire), corrisponde – soprattutto negli ultimi decenni – la capacità di catalizzare i talenti internazionali. Ulteriore conferma della “porosità” di quest’area.

Il progetto nasce dal braccio architettonico di Merano Arte, coordinato da Ursula Schnitzer, e si muove su un campo inesplorato. A parte pochi casi molto noti, come il roveretano Fortunato Depero, studi specifici sono pochi e sporadici. Rispetto all’arco alpino, non solo italiano, l’area emerge come un unicum. «Mentre una zona composita come quella svizzera – dice Martignoni – ha una sua fortissima identità, questa area invece è una specie di riassunto e rilancio di due assi fondamentali: Vienna- Milano e Monaco-Venezia. Oggi e nella storia. Negli anni 20 il peso della cultura del design viennese è centrale. Poi arriva subito come una valanga il Bauhaus. Nel 1927 due trentini, Libera e Pollini, vanno al Weissenhof a Stoccarda. Trentino è anche Baldessarri, tra i primi protagonisti del razionalismo: il Trentino, grazie alla conoscenza della lingua tedesca, appare l’anticamera attraverso cui il moderno entra in Italia. Nel frattempo gli austriaci rinnovano l’architettura alpina a Innsbruck interpretando le correnti di matrice tedesca. C’è un peso importante della tradizione folkloristica ma i designer la abbandonano volentieri». È un fatto valido fino agli anni 80-90: «Nei “montanari” di Memphis, oltre a Sottsass, Zanini e Thun – osserva Larcher – non c’è nulla che ne riveli la provenienza».

Oggi quella dimensione della tradizione «filtrata con ironia, diventa utile. Nei giovani c’è un forte attaccamento alla provenienza, anche nel linguaggio. C’è poi una componente legata alla scuola di design dell’Università di Bolzano, legata alla scuola del Bauhaus nel legame forte col materiale. Senza la sua presenza non so se così tanti giovani si sarebbero dedicati al design».

La mostra si muove orizzontalmente nel tempo e verticalmente nello spazio. Sfruttando i tre piani di Merano Arte troviamo ai diversi livelli il fondovalle, caratterizzato dalla produzione industriale, l’artigianato di mezza costa, l’ambiente estremo delle quote più alte. La chiave la suggerisce il designer di San Candido Kuno Prey, per il quale la filosofia del luogo è “fare con poco”. Sono tante le storie dietro i pezzi. Tra quelle del “fondovalle” c’è quella del trentino Gianni Caproni, il pioniere dell’aeronautica italiana «che dopo la guerra – spiega Martignoni – fa quello che fa Piaggio: finita la produzione degli aerei si lancia nel civile e a Trento produce una linea di motociclette, il Capriolo», oggi molto ricercato dai collezionisti «ma che non ha il colpo di fortuna della Vespa».

Alpi e motori sembrano andare a braccetto. La Laverda nell’ex stabilmento Caproni produce caravan: e proprio un caravan azzurro cielo degli anni 70, segnale di un nuovo turismo di massa a contatto con la natura, chiude la mostra. Meranese dal 1945 fu anche Carlo Abarth, nato a Vienna da padre sudtirolese: il giallo e il rosso che fanno da sfondo celebre scorpione sono infatti i colori di Merano. E sulla strade dello Stelvio l’ingegnere testava i suoi innovativi impianti di scarico.

“Salendo” una sala particolarmente interessante è quella dedicata alle sedute, con esempi che vanno dalla secessione e il protomoderno – Holzmeister, Welzenbacher – fino all’attualità, passando per la sdraio autocostruita da Ezra Pound a Castel Fontana, sopra Merano, sua residenza dal 1958 fino al 1962.

In alta quota, infine, è centrale la ricerca sui materiali, come ad esempio negli scarponi o negli sci. Le industrie del turismo e dello sport sono i vettori trainanti, ed è interessante come in questi ambiti le innovazioni arrivino in alcuni casi non da designer di professione ma da sportivi che pensano alla propria attrezzatura in termini di ottimizzazione di forma funzione.

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