domenica 29 agosto 2010
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Nel 1900 solo il 10% della popolazione mondiale viveva nelle città; oggi siamo già oltre il 50% (e addirittura oltre l’80% in Europa, America e Australia). All’inizio del Novecento, solo una decina di città in tutto il mondo superava il milione di abitanti e quasi tutte appartenevano a paesi con economie capitaliste; oggi sono quasi 500. Il mondo è diventato «urbano» nel corso del XX secolo e continuerà sicuramente a esserlo nel XXI. Il futuro dell’umanità sembra dunque inestricabilmente legato al futuro della città. Nessuno può prevederlo con certezza, ma possiamo almeno abbozzare qualche scenario per i prossimi 20 o 25 anni, dedotti dall’osservazione delle dinamiche urbane contemporanee. I Paesi in via di sviluppo continueranno a ospitare macrocefalie urbane, magari senza che le loro dimensioni raggiungano le previsioni più allarmiste e catastrofiste. La crescita esponenziale preconizzata trent’anni fa da alcuni analisti per agglomerati urbani come Città del Messico, San Paolo e Calcutta non si è avverata. Sono e saranno megalopoli di primo ordine, anche se molto probabilmente i modelli relativi all’aumento della loro popolazione dovranno essere rivisti al ribasso. Si dovrà studiare più a fondo quel rapporto meccanico e causale tra urbanizzazione e sottosviluppo che le ha contraddistinte, senza che questo impedisca di riconoscere gli smisurati problemi che dovranno essere risolti se si vuole garantire un minimo di qualità della vita alle persone che le abitano. Le città dell’Occidente saranno invece protagoniste di un processo che definirà una gerarchia urbana sempre più complessa e dinamica, strutturata in distinti livelli che manterranno tra loro relazioni orizzontali e verticali. Nel contesto di una mondializzazione galoppante, che non è che all’inizio, risalta, per la sua novità, il fenomeno che già oggi conosciamo come città globale: centri del calibro di New York, Londra, Parigi o Tokyo, dove si crea innovazione e si gestiscono, coordinano e canalizzano i flussi globali, in particolare quelli legati all’informazione e alla conoscenza. Città organizzate tra loro secondo uno schema a rete che in diversi modi affianca e spesso trascende la suddivisione statale. Le logiche economiche, i modelli culturali e alcuni dei meccanismi di potere politico che le guidano travalicano, oggi e ancor più in futuro, l’ambito geopolitico statale. Al di sotto di queste metropoli continuerà a consolidarsi un secondo livello di grandi città il cui ruolo nella gerarchia urbana mondiale dipenderà dal rispettivo bacino di influenza geografica (regionale, statale, continentale) e dalla loro capacità di interagire con il livello superiore, seppure in modo puntuale e settoriale. Madrid, Barcellona, Roma, Milano, Lisbona, Toronto, Vancouver, insieme ad altre decine di agglomerati, rientrerebbero in questa macro-categoria, che si dovrebbe ulteriormente approfondire. E infine le città medie e piccole completeranno il quadro del complesso sistema urbano. Nonostante le ridotte dimensioni, avranno un ruolo fondamentale nella vertebrazione e strutturazione del territorio. Le città del futuro saranno le protagoniste di questi scenari. Non è complicato prevederli: difficile è invece immaginare che ne sarà della città intesa come «polis», ambito della socialità. Questo dipenderà sostanzialmente dalla sua capacità di consolidarsi come spazio multiforme ed eterogeneo, in cui possano convivere culture, voci e sguardi contrastanti; dall’applicazione di politiche di riequilibrio sociale e spaziale e di riduzione dell’emarginazione; dalla promozione della partecipazione cittadina nella risoluzione dei conflitti derivanti dalla complessità urbana. Se queste sfide saranno raccolte e superate, il futuro della città, e quindi quello dell’intera umanità, si preannuncia appassionante e ricco di speranze.
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