venerdì 15 ottobre 2010
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Secondo Karl Polanyi, nella società occidentale l’economia non possiede una specificità autonoma fino al XVIII secolo. A suo avviso essa è incorporata (embedded) in quello che chiama («labirinto delle relazioni sociali»). Ritengo che la sua tesi si applichi alla visione del mondo medievale, che non lascia spazio al concetto di economia, a parte l’accezione di economia domestica ereditata da Aristotele. In questo saggio ho cercato di dimostrare che lo stesso vale per il denaro. Il denaro nel senso qui attribuitogli è una realtà difficile da definire. Albert Rigaudière, che già ho menzionato nell’Introduzione, sostiene a buon diritto che il concetto di denaro sfugge continuamente a chi pretende di rinchiuderlo in una definizione. I principali dizionari testimoniano questa difficoltà a fornire una definizione precisa: «Ogni sorta di moneta e per estensione ciò che rappresenta questa moneta: capitale, fondi, fortuna, contante, pecunia, rendite, risorse, ricchezza, senza contare i termini colloquiali o popolari, come grana».L’assenza di un concetto medievale di denaro va messa in relazione con la mancanza non solo di un ambito economico specifico, ma anche di vere teorie economiche – gli storici che attribuiscono un pensiero economico ai teologi scolastici o agli ordini mendicanti, in particolare ai francescani, commettono un anacronismo. In generale, nella maggior parte dei settori della vita individuale e collettiva, uomini e donne del Medioevo si comportano in modi che li rendono ai nostri occhi degli estranei e che obbligano gli storici a chiarire il proprio lavoro di ricostruzione alla luce dell’antropologia. L’«esotismo del Medioevo» è particolarmente forte in ciò che concerne il denaro. All’idea che tendiamo a farcene oggi dobbiamo sostituire una realtà medievale caratterizzata dalla pluralità delle monete, che in effetti conoscono una fase di grande varietà e dinamismo relativamente a conio, impiego e circolazione. Il fenomeno è difficile da valutare a causa della scarsità di fonti che riportino cifre prima del secolo XIV; spesso non riusciamo nemmeno a capire se le monete citate in una fonte sono veri pezzi metallici o solo valute di conto. La diffusione del denaro a partire dal XII secolo, durante quella che Marc Bloch ha chiamato seconda età feudale, coinvolge anche istituzioni e pratiche proprie del mondo feudale. La contrapposizione fra denaro e feudalesimo non corrisponde alla realtà storica. Lo sviluppo della moneta ha accompagnato l’evoluzione della vita sociale medievale nel suo insieme. Per quanto strettamente legato alle città, il denaro è largamente circolato nelle campagne. Ha beneficiato della ripresa del commercio, una delle ragioni che spiegano l’influenza esercitata in questo campo dall’Italia e dagli italiani anche nell’Europa settentrionale. L’uso crescente del denaro dipende anche dai tentativi di riorganizzazione amministrativa da parte di re e principi, i cui fabbisogni di nuove entrate hanno condotto all’implementazione più o meno riuscita di sistemi fiscali basati sull’esazione di contante. Se la presenza del denaro nella società è in aumento, nella forma di una molteplicità di monete, è soltanto a partire dal Trecento, e sempre in misura limitata, che compaiono metodi di pagamento alternativi all’impiego della moneta, come la lettera di cambio o la rendita. D’altro canto, anche se la pratica sembra in diminuzione nel tardo Medioevo, continuano a esistere forme di tesaurizzazione non solo in lingotti, ma anche e soprattutto in tesori e oreficeria.È chiaro che parallelamente a una certa promozione sociale e spirituale del mercante l’uso del denaro è stato favorito da una lenta evoluzione delle idee e dei comportamenti della Chiesa; si ha l’impressione che essa abbia voluto aiutare gli uomini del Medioevo a salvaguardare nello stesso tempo la borsa e la vita, vale a dire la ricchezza terrena e la salvezza eterna. Dal momento che, pur in mancanza di riflessioni specifiche, un ambito come quello dell’economia esiste al di fuori della consapevolezza che chierici e laici ne hanno, o meglio non hanno, ribadisco la mia convinzione che l’uso del denaro nel Medioevo sia da inserire nell’economia del dono: la subordinazione delle attività umane alla grazia di Dio riguarda anche il denaro. A tal proposito, mi sembra che l’impiego «laico» del denaro sia stato condizionato da due concezioni specificamente medievali: l’aspirazione alla giustizia, che si ripercuote nella teoria del giusto prezzo, e l’esigenza spirituale della caritas. Nel corso del Medioevo la Chiesa ha senza dubbio contribuito a riabilitare, a determinate condizioni, i professionisti del denaro favorendo la comparsa di una visione positiva della ricchezza presso la ristretta élite dei cosiddetti preumanisti della fine del XIV e del XV secolo. Se il denaro ha progressivamente cessato di essere maledetto e infernale, per tutto il Medioevo esso è rimasto tuttavia quanto meno sospetto. Mi è sembrato infine necessario precisare, sulla scia di importanti storici, che il capitalismo non è nato nel Medioevo e nemmeno si può considerare quest’epoca precapitalistica: la penuria di metallo pregiato e la frammentazione dei mercati hanno impedito che si creassero le condizioni adatte. Quella «grande rivoluzione» che Paolo Prodi colloca nel Medioevo, a mio parere sbagliando, si verificò soltanto nei secoli XVI e XVII. Nel Medioevo né il denaro né il potere economico sono arrivati a emanciparsi dal sistema globale di valori proprio della religione e della società cristiana. La creatività del Medioevo è altrove.
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