giovedì 1 marzo 2018
Parla il fondatore di Mediapro, colosso spagnolo che ha comprato i diritti televisivi del nostro campionato: «Ora non ha molto appeal all’estero. Ma avete un grande potenziale che vogliamo sfruttare»
Jaume Roures (Mediapro): «La Serie A rinascerà»
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Pochi luoghi possono raccontare lo spirito del “barcellonismo” come la saletta riservata del ristorante Fermi Puig in una delle zone più residenziali della capitale catalana. Al centro il tavolo (quasi un altare) dove Pep Guardiola e Johan Crujiff cenavano guardando le partite di calcio in tv. Alle pareti cimeli blaugrana con la storica foto del presidente del club, Josep Sunyol, fucilato nel 1936 dai franchisti, appoggiato alla balaustra in legno bianco dell’ex stadio Camp Les Corts insieme al capo del governo regionale Lluis Companys. E quella balaustra in legno è proprio lì, conservata come una reliquia sotto la gigantografia. Più che la sala di un ristorante sembra la cappella di un tempio. In un contesto simile è perfettamente chiaro perché il Barcellona viene ispirato dal comandamento “mes que un club”. Lo chef Fermi Puig è un convinto indipendentista, sceso in campo con il partito di Carles Puigdemont. E tra i soci del ristorante c’è Jaume Roures, il 68enne imprenditore di Barcellona, fondatore di Mediapro, il colosso (acquistato per circa il 53% dai cinesi, ma senza cambiamenti al vertice) che ha offerto 1.05 miliardi all’anno per i diritti tv della Serie 201821. Roures è tante cose insieme: uomo di cinema e tv, amico di Woody Allen, ex militante della sinistra rivoluzionaria, anti-franchista, incarcerato durante la dittatura spagnola, vicino all’indipendentismo catalano e accusato di aver fiancheggiato l’Eta negli anni ’80 a Barcellona: «Ma questo non è vero, l’ho già smentito tante volte. Non so perché continuano a scrivere questa falsità». L’ad di Mediapro è anche amante della guida sportiva. «Occhio che Jaume va veloce in macchina », avvisano i suoi collaboratori prima dell’intervista.

Roures, come si fa a passare così dalla politica al calcio?

«Capisco la domanda, ma non la condivido. Tutto il mondo mi chiede questa cosa. Non ci vedo nulla di strano. Non faccio nulla contro le mie idee politiche. Il calcio è il mio lavoro. Sarebbe diverso se vendessi automobili? Mediapro si occupa di cinema e di tv. Abbiamo ricevuto tanti riconoscimenti e a un certo punto è arrivato il calcio. Negli anni ’90 Audiovisual Sport, la società di Canal Plus e Telefonica che controllava i diritti della Liga, ci chiese di lavorare alla produzione delle partite. Poi comprammo i diritti internazionali e successivamente quelli nazionali. Mi piace molto occuparmi di calcio e mi permette di fare altro«.

È un caso che Mediapro sia nata a Barcellona dove il calcio è più di uno sport?

«Il calcio è più di uno sport in tutto il mondo, a parte gli Stati Uniti. Qui a Barcellona è più di uno sport perché ci sono condizioni politiche particolari. Ma è capitato lo stesso in Sud Africa con il rugby. È una bugia dire che non bisogna mescolare sport e politica. La classe dirigente lo fa continuamente a suo favore. Quando un atleta o una squadra vincono una medaglia o un trofeo, la prima cosa che fa il capo del governo è complimentarsi. Non dobbiamo essere ipocriti».

Il calcio è rimasta una delle principali forme di partecipazione collettiva della società?

«Noi cerchiamo di valorizzare la forza del calcio. Per esempio, un anno fa abbiamo allestito delle piazze in giro per il mondo per una visione di gruppo del “clasico” tra Real e Barcellona. Lo abbiamo fatto a Bombay, Johannesburg e Salonicco dove c’era un campo con i rifugiati siriani. Ed era bello vedere questi bambini, fuggiti dalla guerra, che per un giorno hanno avuto la possibilità di tornare a essere bambini. Crujiff diceva che il calcio esiste per rendere felice la gente. Quel giorno a Salonicco era possibile toccare con mano il grande significato di questa frase molto logica. Noi non vogliamo essere i numeri uno, ma vogliamo fare cose che restano».

In questo momento chi sono i protagonisti del calcio che possono rendere felice la gente?

«Messi, Cristiano Ronaldo e Guardiola. Ma non è solo una questione di singoli. È un tema più ampio che può essere sintetizzato ancora con una frase di Crujiff quando diceva che preferiva perdere 6-4 piuttosto che vincere 1-0. Per dare più spettacolo al pubblico. È questo che migliora lo sport. Insieme alla lotta al fanatismo che si vede in troppi stadi».

La violenza è il problema più grande del calcio?

«Sì, insieme alla corruzione. Pochi giorni fa in Spagna è scoppiato uno scandalo legato alle scommesse. Orami non è più tempo di soldi nelle valigette per comprare le partite. Tutto passa dalle scommesse illegali».

In Italia non esiste il “clasico” tra Real e Barcellona: su cosa farete leva per migliorare l’immagine della Serie A nel mondo?

«Avete un grande vantaggio rispetto alla Spagna: un numero elevato di squadre che possono fare da traino. Juventus, Milan, Inter e Roma per fare qualche nome. Hanno un blasone storico superiore a quello di club come Siviglia o Valencia. Noi abbiamo solo due locomotive: Real e Barcellona. In Italia ne avete di più ma in questo momento manca il treno, rappresentato dall’immagine del campionato che all’estero è un po’ annacquata. E avete anche un altro vantaggio».

Quale?

«Il peso molto forte dei giocatori italiani nella storia del vostro calcio. Campioni come Paolo Rossi, Totti, Zoff, Vialli. In Spagna invece siamo stati sempre legati a fuoriclasse stranieri. Adesso Messi e Ronaldo. Prima Di Stefano, Maradona e Crujiff. L’unico giocatore spagnolo che ha vinto il Pallone d’Oro è stato Luisito Suarez che poi è andato subito all’Inter. Anche se non darlo a Iniesta è stato un crimine calcistico. Non lo ha ricevuto perché ci sono Messi e Cristiano Ronaldo. Ma in condizioni normali lo avrebbe meritato».

Mediapro ha prodotto il film-documentario di Oliver Stone su Fidel Castro. Conosce Maradona che era amico del lider cubano?

«Sì, ma non per il film su Castro. Ho fatto il viaggio con lui e il suo agente Cysterpiller da Barcellona a Napoli quando venne acquistato dal club italiano. Lo seguimmo con una troupe giornalistica: ero al San Paolo il giorno della sua presentazione il 5 luglio del 1984. Poi sono stato contattato per gestire immagine e rapporti commerciali di Maradona quando passò al Siviglia nel 1992. Per quanto sia possibile gestire Diego… E ci siamo incontrati altre volte a Cuba, Dubai e in Argentina. Ma non posso dire di essere suo amico».

Avete avvertito un eccesso di pessimismo intorno alla Serie A?

«Questo tema riguarda le istituzioni che devono valorizzare l’immagine del campionato. Certo, non ha aiutato la mancata qualificazione della Nazionale azzurra ai Mondiali. Ci sono tanti fattori che possono rendere tristi i tifosi italiani. Ma bisogna pensare che anche Premier League e Liga hanno vissuto un periodo negativo. E si sono risollevate in un tempo ragionevole. La Serie A può contare su una grande forza e riuscirà a fare lo stesso percorso».

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