lunedì 4 marzo 2013
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Certi romanzi del Novecento, anche grandi, sono nati da un’immaginazione narrativa che ha incontrato e in parte adottato il linguaggio cinematografico. Nel 1953, un anno dopo aver ricevuto il Nobel, François Mauriac confessò con queste parole la genesi di quella che resta, secondo molti critici, la sua opera più riuscita: «Per Thérèse Desqueyroux, ho impiegato procedimenti che provenivano dal cinema: l’apertura improvvisa, l’assenza di spiegazioni e poi la successione di flash-back. Tutto ciò sembrava molto nuovo e sorprendente all’epoca». Cioè, nel 1927, anno di pubblicazione del capolavoro, il cui tema giaceva già nella memoria dello scrittore da un ventennio. A 21 anni, nel 1906, Mauriac assistette a Bordeaux al processo di Henriette-Blanche Canaby per tentato avvelenamento del marito, grossista di vini, restando impressionato in particolare dal profilo della giovane accusata.Dopo una simile ammissione, non sorprende che lo stesso Mauriac abbia accettato nel 1962 di collaborare alla sceneggiatura del primo adattamento per il grande schermo, affidato al regista Georges Franju. La pellicola, estremamente fedele al romanzo e in un bianco e nero pallido e opprimente come la cappa d’uggia che avvolge la vita della protagonista Thérèse, ottenne a sua volta un grande successo e resta ancor oggi un classico del cinema francese custodito in molte cineteche. Merito anche di un’indimenticabile prova di Emmanuelle Riva, la stessa interprete che, a mezzo secolo di distanza, ha prestato il proprio volto per Amour, il film di Michael Haneke che ha vinto l’anno scorso il Festival di Cannes e che ha appena ottenuto pure l’Oscar del miglior film straniero.  Mezzo secolo, probabilmente, è sembrato pure l’intervallo minimo per osare un nuovo adattamento cinematografico di Thérèse Desqueyroux, questa volta da parte di Claude Miller, regista francese noto anche per l’impegno in difesa di un cinema europeo d’autore e di qualità. Lo stesso Miller deceduto un anno fa e che è stato celebrato proprio a Cannes, dove la sua Thérèse ha chiuso il festival in un clima di commozione. Thérèse Desqueyroux è un personaggio che è stato spesso paragonato alla flaubertiana Emma Bovary: una donna che si sente in gabbia di fronte alle convenzioni sociali della provincia francese e la cui vita interiore si trasforma in un rimescolamento magmatico di pulsioni, fughe immaginarie e sentimenti più o meno repressi. Nata in una famiglia di latifondisti dell’Aquitania, i Laroque, Thérèse subisce ed accetta la logica di un matrimonio d’interesse con Bernard Desqueyroux, a sua volta erede di sterminate pinete nelle Lande. Assieme, la coppia capitalizzerà ben 4.500 ettari del vasto «polmone verde» del Midi. Nella psicologia complessa di Thérèse, che si sente incapace di amare il marito e di vivere con gioia la propria maternità, affioreranno ben presto crepe, cedimenti e infine persino pulsioni criminali. Lo scivolamento progressivo nella disperazione si tradurrà in un cupo disegno attraverso delle gocce di arsenico prescritte a Bernard. Smascherata e riconosciuta da tutti come colpevole di tentato omicidio, Thérèse riuscirà ad evitare una condanna giudiziaria, ma il non luogo a procedere dei giudici può quasi apparire come un dettaglio accanto al dramma di una coppia dilaniata di coniugi. Il confronto fra Thérèse e Bernard, fra le responsabilità di entrambi nel comune naufragio, rappresenta il punto culminante della storia.Nonostante l’alto carico di responsabilità preso sulle spalle da Miller e in generale l’inevitabile gioco dei paragoni, anche il nuovo adattamento, che sceglie una narrazione cronologica lineare diversa da quella del romanzo, ha superato in Francia il test della critica e quello della platea. Nel ruolo di Thérèse, Audrey Tautou, la cui fama d’attrice restava legata per il grande pubblico soprattutto alla commedia Il favoloso mondo di Amélie (2001), ha rivelato un autentico spessore drammatico. Per «Le Monde», la nuova versione «non arrossisce al confronto con il famoso adattamento di Georges Franju». Mentre per il «Figaro», «la regia di Claude Miller è elegante, fluida e di un classicismo molto terriero». Sul piano sonoro, pure la scelta di spartiti di grande profondità come La Piccola Messa Solenne di Rossini ha ricevuto un largo consenso. A proposito della prima ispirazione del romanzo, legata al processo Canaby, Mauriac aveva rivelato: «Ho preso in prestito da questo caso le circostanze materiali dell’avvelenamento, ma ho ripreso soprattutto un profilo di donna». Un profilo che avrebbe poi turbato e affascinato generazioni di lettori, con la sua ambiguità. E nell’adattamento di Miller, l’appiattimento parziale di tale mistero, legato alla volontà del regista di dipingere Thérèse prima di tutto come una vittima delle regole sociali, in un’ottica quasi “femminista”, rappresenta probabilmente la principale occasione perduta della pellicola.
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