mercoledì 12 marzo 2014
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La morte di Piersanti Mattarella sembrò seppellire per sempre una stagione irripetibile di rinnovamento ai vertici politici-amministrativi della Sicilia, che ripresero, dopo la smagliante parentesi di Mattarella, le antiche e opache consuetudini. Ben presto molte vicende e molti altri morti eccellenti si sovrapposero alla figura del giovane presidente, finendo per stemperarne il ricordo. Ma la breve e intensa “Primavera palermitana” del 1984-1990, nella quale il mondo cattolico siciliano, dopo anni di silenzio, scese in campo con decisione a presidio del rinnovamento e della legalità, vide come protagonisti Sergio Mattarella, commissario della Dc di Palermo, e i “mattarelliani” Leoluca Orlando e Rino La Placa. Quella stagione fu il frutto diretto di quel vento di novità di cui Piersanti fu coraggioso iniziatore. Oggi possiamo solo immaginare quanto e come sarebbe cambiata la storia della Sicilia, della Democrazia cristiana e forse dell’Italia se Mattarella avesse potuto mettere a disposizione per altri anni ancora la sua competenza, il suo rigore e la sua passione.Non è certo questo il luogo per ricostruire le complesse vicende del rapporto tra cattolici e politica che intrecciano, in Sicilia e in Italia, la convulsa fine della Dc e della Prima Repubblica. Ma buona parte, almeno, della “rimozione” del sacrificio e dell’esempio di Piersanti Mattarella dalla coscienza collettiva si spiega proprio alla luce di quella storia cinquantennale, archiviata frettolosamente sotto il marchio inglorioso di Tangentopoli. Quasi che ripercorrere la vita e le opere di un cattolico democratico (o, se vogliamo, di un democristiano) “onesto” e quindi, nell’immaginario collettivo, “diverso”, significasse scuotersi da una certezza, mettendo in discussione un giudizio di condanna pacificamente acquisito. Quello di Mattarella, a ben vedere, è un destino comune ad altri grandi cattolici democratici, con radici comuni a quelle di Piersanti, che hanno in quegli stessi anni pagato con la vita il loro impegno civile: Vittorio Bachelet e, più recentemente, Roberto Ruffilli. Anch’essi rimossi e dimenticati. A questa rimozione hanno contribuito vari e diversi soggetti, con un implicito anche se non sempre consapevole disegno comune. Come ha di recente notato un attento osservatore dei nostri tempi, Giuseppe Vacca, i soggetti politici che hanno animato la Seconda Repubblica sono nati ostentando – chi più chi meno – un netto taglio del cordone ombelicale rispetto alla tradizione politica e culturale del passato: un ripudio che ha permesso loro di presentarsi come il “nuovo” rispetto a un “vecchio” da far dimenticare al più presto; ma che, al contempo, ne ha fiaccato la strutturazione e il radicamento. Questa sorta di “volatilità” delle nuove forze politiche può contribuire a spiegare i motivi della mancata uscita dell’Italia dalla interminabile fase di transizione. E – paradossalmente, ma non troppo – ha finito perfino per accentuare i fenomeni di antipolitica.Funzionale a questa logica la narrazione dei media che, com’è noto, preferiscono adagiarsi su stereotipi e semplificazioni. Così che è molto più facile e “popolare” celebrare come simboli della lotta alla mafia unicamente i magistrati o i membri delle forze dell’ordine caduti nell’adempimento del loro dovere (Falcone, Borsellino ecc.), proprio per la loro presupposta “apoliticità” – o perfino “anti-politicità” – piuttosto che misurarsi con la complessità di vicende che comportano l’approfondimento del pensiero e delle vicende di uomini politici.Nel caso di Mattarella, in particolare, questo avrebbe dovuto significare una serrata verifica dell’assunto del “democristiano diverso”. Con l’obbligo di fare i conti con un rebus apparentemente insolubile: ovvero comprendere i motivi per i quali dalla stessa e unica matrice religiosa e culturale – il cattolicesimo democratico – sarebbero nate, all’ombra dello stesso partito, piante così diverse: quella dei complici e quella della vittime, quella dei rinnovatori e quella dei corrotti-corruttori. Con un punto di caduta addirittura sorprendente: Mattarella, a ben vedere, non andrebbe considerato come un “democristiano diverso”, ma come un “democristiano autentico”.Più complesso indagare le ragioni che hanno offuscato, dopo i primi anni, la memoria di Mattarella anche all’interno della Chiesa cattolica italiana, di cui Piersanti era e si sentiva figlio devoto e appassionato. Una “dimenticanza” di cui si è avuto sentore anche durante la recente cerimonia di beatificazione di don Pino Puglisi: accanto alla figura del prete martire di Brancaccio sono stati citati, tra gli applausi, Falcone, Borsellino e Livatino. Ma non Piersanti Mattarella. Perché?Anche qui il discorso ci porterebbe lontano. Per grandi linee si può dire che la Chiesa italiana, nel suo complesso, è stata colta impreparata dalla fine della Democrazia cristiana alla quale – bisogna riconoscerlo – ha reagito senza rifugiarsi in dannose “operazioni nostalgia”. Ma aderendo anch’essa alla logica del nuovo bipolarismo, ha finito per accentuare la netta presa di distanza dai “colpevoli” di Tangentopoli, senza alcuna ulteriore elaborazione, quasi che la Dc non fosse nel bene e nel male figlia del cattolicesimo italiano. E si è risvegliato l’antico timore – basti pensare a quello che accadde con Sturzo e i popolari durante il fascismo – che rivendicare l’appartenenza di politici laici sinceramente e autenticamente cattolici alla Chiesa italiana compromettesse il suo ruolo super partes, indebolisse la sua forza politica all’interno dei nuovi equilibri e finisse perfino per causare pericolose divisioni all’interno del popolo dei fedeli frastornato dal nuovo assetto bipolare.Una delle conseguenze negative di questo atteggiamento è stata che per molti anni i giovani cattolici interessati alla vita politica, al di là dei documenti teorici della Dottrina sociale della Chiesa, non hanno avuto una storia di cui sentirsi pienamente eredi o partecipi, né modelli concreti e recenti di uomini politici a cui ispirarsi. E probabilmente va ricercata anche in questo fenomeno una delle cause della scarsa incisività dei cattolici italiani sull’odierna scena politica.
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