martedì 28 giugno 2011
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Mentre rimbalzano sulle prime pagine titoli sempre più allarmistici riguardo alla catastrofe economica della Grecia, che minaccia un effetto tsunami sull’Europa, ecco che Petros Markaris, uno dei più popolari scrittori greci, ha deciso di raccontare la crisi dal punto di vista del suo celebre commissario Kostas Charitos. E trattandosi di un tema arduo e complesso, ha già progettato di svilupparlo attraverso tre romanzi: il primo in libreria è Prestiti scaduti (Bompiani, pp. 328, euro 18,90) «Si chiamerà "trilogia della crisi"» ci spiega Markaris, ospite della Milanesiana, «ma attenzione: in greco la parola "crisis" significa anche "il giorno del giudizio", quindi c’è una forte connotazione apocalittica».Questo romanzo inizia con l’assassinio di un banchiere, seguìto da altri omicidi, sempre legati al mondo della finanza. Quindi il titolo "Prestiti scaduti" denuncia le colpe di un perverso sistema economico?«Certo, tutta la Grecia si muove grazie ai prestiti. Le banche tengono in ostaggio la maggioranza della popolazione, incentivando la nostra tendenza nazionale spendereccia. Quando la Grecia, nel 1980, è entrata nel Mercato Comune, noi eravamo poveri ma dignitosi, anzi ci contraddistingueva una vera "cultura della povertà", che ha prodotto tanti grandi artisti. Poi dall’estero sono arrivati i prestiti e il nostro governo ci ha incoraggiato a spendere, a consumare. In questo modo abbiamo perso la nostra cultura della povertà senza per questo imparare la cultura della ricchezza. Abbiamo speso troppo, con spensieratezza, con ingordigia. La cosa più grave secondo me non è tanto la corruzione alla quale siamo arrivati, ma il fatto che il governo abbia supportato la politica dello spreco. Ad esempio, le cosiddette baby pensioni: non mi stupisce che tanti ne abbiano approfittato, visto che era legale, ma non era giusto offrire la possibilità di andare in pensione troppo presto».Il protagonista dei suoi gialli, il commissario Charitos, ha ormai superato i confini della patria, ed è paragonato a Maigret e a Montalbano. Come vive questa crisi, insieme alla sua famiglia?«I poliziotti fanno parte della piccola borghesia, la categoria più tartassata. Lui subisce tagli allo stipendio, la moglie per far quadrare i conti acquista al supermercato quello che trova nelle "offerte speciali", la figlia nonostante abbia un dottorato non riesce a trovare lavoro. Ho voluto mettere l’accento sulla precaria situazione dei giovani, perché mi sembra uno dei sintomi più vistosi del nostro arretramento al passato. Come negli anni infausti della guerra civile e del regime dei colonnelli, origine dei nostri mali, oggi i giovani non hanno possibilità di scelta, è gravissimo».Il commissario Charitos, per ragioni anagrafiche, ha iniziato la carriera durante la dittatura militare?«Sì, l’ho immaginato figlio di un gendarme di campagna e quindi senza altra possibilità di studiare, se non iscrivendosi all’Accademia di Polizia. E dopo, come ho raccontato nel romanzo "Si è suicidato il Che", è stato precettato a fare la guardia in una prigione militare. Da qui l’origine del suo disincanto, del suo rapporto conflittuale con l’autorità. Charitos è l’esempio di come molti suoi coetanei allora non abbiano avuto possibilità di scelta. Oggi i giovani hanno piena libertà di studiare, ma se poi non trovano lavoro, che cosa se ne fanno di questa libertà? Ecco perché sostengo che stiamo tornando a una situazione come quella del passato, con tutti i rischi connessi».Nel romanzo, un esperto finanziario sostiene: "La società è un’invenzione, esistono solo gruppi che fanno i propri interessi". Ma il commissario Charitos non è d’accordo...«Perché lui ha vissuto anni in cui la società dimostrava la sua esistenza attraverso i rapporti di solidarietà. Negli anni ’60 e ’70 i legami sociali si sentivano, oggi non più. La moglie di Charitos, nel romanzo, fa la spesa anche per la figlia appena sposata, le sembra naturale aiutarla, ma il genero s’imbarazza, perché non è abituato a manifestazioni di solidarietà. Dove non c’è solidarietà, non c’è società».Dopo aver mostrato i disastri di un’economia basata sui prestiti bancari, come proseguirà la trilogia?«Il secondo romanzo prenderà di mira l’iniquo sistema di tassazione. Non abbiamo meccanismi per incassare le tasse. I più deboli si sobbarcano il peso maggiore e non siamo in grado di far pagare i ricchi. Alla base della crisi c’è l’incapacità di porre le relazioni tra i gruppi su una base corretta. Quanto al terzo romanzo, non posso ancora dire di che cosa si occuperà, perché il mio progetto è fortemente ancorato all’attualità. In effetti mi sono imbarcato in una sfida rischiosa: di solito uno scrittore lascia sedimentare gli eventi prima di raccontarli in un romanzo, io invece, come un giornalista, immetto i miei personaggi nella cronaca, in mezzo a situazioni che si evolvono giorno per giorno».
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