martedì 8 novembre 2016
Fondatore della casa editrice Morcelliana, vicino a Montini, fu tra i primi a criticare il nazismo come forma di neopaganesimo. Un saggio di Torchiani ne rilegge il pensiero
Il raduno nazista di Norimberga dle 1935 (Wikimedia Commons)

Il raduno nazista di Norimberga dle 1935 (Wikimedia Commons)

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L'approfondito esame della figura di Mario Bendiscioli, compiuto da Francesco Torchiani, è stata pubblicata dalla Morcelliana (Mario Bendiscioli e la cultura cattolica tra le due guerre, pagine 290, euro 22,00). Non poteva essere diversamente: Bendiscioli non è stato solo tra i fondatori della casa editrice nel 1927, ma ne ha anche ispirato gran parte della linea editoriale nei primi decenni di attività. E questo denso libro non ci offre solo un’attenta descrizione della sua figura: la immerge anche nel vivace panorama della cultura cattolica tra le due guerre Non è un caso che molti documenti significativi qui esaminati vengano proprio dall’archivio della Morcelliana e che illuminino anche altre figure importanti legate all’editrice, da Giovanni Battista Montini a don Giuseppe De Luca. Tra Bendiscioli e quest’ultimo, nota Torchiani, ci furono distanze profonde, mentre maggior vicinanza ci fu con Montini, cui era legato da una radicata consuetudine. Tale vicinanza si espresse tra l’altro su una questione cruciale come il movimento liturgico, nato e diffuso soprattutto in Germania. Non a caso, Bendiscioli sostenne la traduzione in italiano delle opere di Romano Guardini e di Karl Adam, proprio negli anni in cui Montini venne allontanato dalla Fuci con l’ accusa di liturgismo (su questo terreno un ruolo molto rilevante ebbe anche Adriano Bernareggi). Eppure, anche tra Bendiscioli e Montini non mancarono significative divergenze.

Al centro del libro di Francesco Torchiani c’è Germania religiosa nel Terzo Reich pubblicata nel 1937, un’opera allora apprezzata anche da studiosi di diverso orientamento, come Cantimori, e che esprimeva una forte posizione antinazista. La critica di Bendiscioli si concentrava sul razzismo antisemita, espressione del "neopaganesimo" che ai suoi occhi segnava in profondità l’esperienza nazionalsocialista. Ricostruendo attentamente il contesto culturale in cui si colloca quest’opera, Torchiani mette in luce le differenze rispetto ad autori cattolici coevi di altri paesi, come Robert d’Hancourt e William Teeling. Il suo era un punto di vista molto "italiano", in chiave di contrapposizione nazional-spirituale alle vene pagane presenti nella cultura tedesca e di forte ancoramento alla tradizione cattolica (con qualche punta antiprotestante). Di qui anche una differenza di approccio al nazismo e al fascismo, che non fu oggetto di una critica altrettanto severa da parte del professore bresciano.

Subito dopo la pubblicazione della Mitt Brennender Sorge, Bendiscioli propose di pubblicare l’enciclica in italiano, con un denso apparato di note e un saggio finale su Neopaganesimo razzista. La proposta suscitò le critiche di Montini. Questi rilevò carenze importanti nella ricostruzione dei rapporti tra la Santa Sede e Terzo Reich, denunciando persino la presenza di veri e propri errori. Torchiani nota che su Montini influì probabilmente la posizione del Segretario di Stato, il cardinale Pacelli, cui una storiografia oggi largamente affermata attribuisce eccessiva prudenza in contrasto con una posizione più ferma di papa Pio XI. Ma tale contrapposizione riflette una sorta di proiezione all’indietro della polemica sui silenzi di Pio XII. Negli anni Trenta, la posizione vaticana fu molto condizionata dalle divisioni tra i cattolici e i vescovi tedeschi, una parte dei quali ruppe la compattezza del fronte antinazista. Bendiscioli sottovalutò il problema, animato dalla volontà di affermare una contrapposizione frontale tra cattolicesimo e nazismo.

Non fu l’unica divergenza tra il gruppo che si raccoglieva intorno alla Morcelliana e Montini. Anche un altro volume curato da Bendiscioli, Romanesimo e germanesimo, per esempio, suscitò le riserve del Sostituto per la rappresentazione della romanitas che proponeva. Montini, immerso nel particolare osservatorio internazionale rappresentato dalla Santa Sede, aveva una visione più ampia dei suoi amici bresciani.


Bendiscioli replicò alle critiche montiniane, rivendicando con orgoglio il suo disinteresse per le questioni politico diplomatiche e pubblicò senza l’enciclica il suo saggio, che peraltro non raccolse molti apprezzamenti. Sia allora sia in seguito, come rileva Traniello nella Presentazione del libro di Torchiani, a Bendiscioli premeva dare una "testimonianza". Il professore bresciano, diremmo oggi, era un militante, uno di quegli autori engagé che fanno tanto orrore alla cultura contemporanea. Ma la sua non era militanza politica, bensì qualcosa di più profondo: era una testimonianza di fede che si traduceva in impegno educativo. Torchiani coglie nel segno vedendo in Mario Bendiscioli la figura di un educatore, una figura diversa da quella del semplice insegnante e a cui spetta «il compito più ampio» di «formare spiritualmente i ragazzi senza limitarsi a fornire loro semplici nozioni». Proprio questa vocazione educativa lo spingeva verso un impegno costante per preservare le giovani generazioni dal modello dell’uomo nuovo nazista o sovietico. Don De Luca era infastidito dalla produzione di Bendiscioli, «non propriamente storica né teologica in senso stretto, informativa ma al contempo attenta ai grandi problemi della politica e della cultura contemporanea». Il sacerdote lucano gli rimproverava di essere "mezzo prete" e "mezzo professore". Ma proprio De Luca, nota Torchiani, colse in profondità l’animus che ispirava Bendiscioli, sottolineando l’alto valore spirituale dei suoi scritti più riusciti.

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