venerdì 12 maggio 2017
“L'ombra della madre” è il debutto narrativo, in gran parte autobiografico, dell'inviata di “Avvenire”
Giovanni Segantini, "Ritorno dal bosco" (1890). Segantini Museum, St.-Moritz

Giovanni Segantini, "Ritorno dal bosco" (1890). Segantini Museum, St.-Moritz

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Richiudi L’ombra della madre, il debutto narrativo di Marina Corradi (inviata di “Avvenire”) e trovi conferma al monito di Tolstoj: «Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo». Questo romanzo, per gran parte autobiografico, “scorticante”, comincia con una disgrazia sventata. Il siluramento del Sussex, avvenuto al largo della Manica il 24 marzo 1916, nel pieno della Grande Guerra, ad opera dell’UB- 29: il sommergibile della marina tedesca. Il Sussex, la nave traghetto, a bordo trasportava civili, diretti per lo più a Londra. Come la piccola Alba, la mamma allora in fasce di Teresa, la voce narrante di questa storia di una famiglia che attraversa un secolo di piccole gioie soffocate e di infinita solitudine ereditata per linea materna. Un racconto che porta subito il lettore in apnea con la piccola Alba gettata da mamma Ebe nella scialuppa di salvataggio. Ma la bimba cadde nell’acqua fredda e scura del mare, e sarebbe morta se a salvarla non fosse stata la mano, davvero provvidenziale, di una suora sconosciuta.

«La più piccola superstite del Sussex», titolarono all’indomani i giornali, poté così proseguire il suo viaggio nella vita, che da aristocratica la portò a condurre un’esistenza piccolo borghese, a sposare un giovane di estrazione operaia, l’ingegner Ermanno Brot. Il ragazzo di Carpi si innamorò dantescamente della sua «Beatrice», Alba, incontrata su una corriera che «si inerpicava sull’Appennino modenese», ed ebbe inizio quella che nel loro fitto carteggio sentimentale – lettere spedite dal fronte greco – sembrava essere il grande amore. E invece con il tempo assunse le fattezze del calesse con cui traslocarono in Brianza nella loro prima casa da sposati.

Interno di famiglia, opaco, interiorità e interni domestici sbiaditi («la crepa sul soffitto della camera da letto si incrudeliva, nera, sull’intonaco bianco») poi trasferita in una grigia Milano del dopoguerra, tra palazzoni che presagivano l’imminente boom economico, animati dal cicaleccio del vicinato curioso, attratto da Alba. La giovane donna eterea, bilaureata, con le sue figlie, Viola e Teresa, cresciute in simbiosi come piccole adulte, all’ombra di in figurino «sempre molto elegante... sembrava una Greta Garbo invecchiata, ma con molta grazia».

Figura estremamente dominante quella di Alba, votata alla maternità fin dalla giovinezza, quando un ritardo la prostrava al punto da farla sentire ossessivamente inutile: «Era come avere costruito un nido, e trovarlo ancora una volta vuoto». In quel nido sarebbe arrivata Viola, e poi quando era vicina alla resa per il nido rimasto nuovamente vuoto, nacque Teresa. La figlia del “non amore”, da parte di quel padre assente, sempre in viaggio di lavoro all’estero che Teresa ritroverà solo in punto di morte. Tutto il romanzo, è un costante “ritrovare” ciò che si è perso (in primis la sorella Viola, morta giovane), rovistando in scatole di cartone alla ricerca di brandelli di foto, di lettere, in fondo spedite a nessuno. Scortica il vuoto di ogni famiglia, in cui c’è sempre un figlio che, fissando lo sguardo triste di un genitore, si chiederà: ma c’è stato un tempo in cui i miei sono stati felici? L’unica risposta possibile, nel finale: «Non siamo un nulla, c’è un Dio che passa per le nostre povere vicende umane».

Marina Corradi

L’ombra della madre. Tre donne sole

Marsilio. Pagine 320. Euro 17,50

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