domenica 28 novembre 2010
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«Delle veggenti ho incontrato recentemente Vicka e Mirjana, sono due persone umili e disponibili, sia io che la mia famiglia cerchiamo di non disturbarle troppo, hanno già molto da fare con la loro missione…». Marin Cilic, numero 14 del tennis mondiale, si trova in questi giorni a Medjugorje ma non come pellegrino, solo per un po’ di riposo. Nella cittadina dell’Erzegovina è nato 22 anni fa. Lì è cresciuto, ha preso in mano per la prima volta la racchetta, ispirato da una cugina che veniva a trovarlo ogni estate dalla Germania, venendo notato presto per il suo talento. Lì ha abitato stabilmente fino a 14 anni, prima di iniziare una vita itinerante fra gli juniores, poi fra i professionisti del circuito Atp. Lì vive ancora la sua famiglia, il padre Zdenko, la madre Koviljk e i tre fratelli, il più grande dei quali, Vinko, lo accompagna spesso in giro per il mondo. A Medjugorje Cilic torna appena può, tra un torneo e l’altro. Come in queste settimane di fine stagione, dopo aver archiviato un 2010 che lo ha visto entrare fra i primi dieci del mondo, per poi arretrare leggermente. «Direi che è stato un anno positivo – sintetizza Cilic –, ho giocato la mia prima semifinale in un torneo del Grande Slam, agli Australian Open, ho difeso i titoli che avevo vinto l’anno precedente a Chennai in India e a Zagabria, siamo arrivati in Coppa Davis ai quarti [con la Croazia ndr] e giocarli contro la Serbia, sempre a Zagabria, è stato un momento molto importante. Ho avuto altre belle vittorie, poi non sono riuscito a ritrovare la forma e la qualità di gioco che volevo. Però ho preso il tutto come una lezione e spero che porti frutto nel 2011». Cilic resta in contatto costante con il suo mentore Goran Ivanisevic, l’indimenticata stella del tennis croato – «È un amico sempre disponibile. Sono andato a trovarlo anche la settimana scorsa, abbiamo parlato degli obiettivi su cui focalizzarmi il prossimo anno» – ed è allenato dall’australiano Bob Brett, già coach di Boris Becker, che gli fu presentato dallo stesso Ivanisevic. Dopo un breve periodo di preparazione in Croazia, i due si ritroveranno in a dicembre a Sanremo, dove Brett dirige la sua prestigiosa accademia di tennis. Intanto Cilic si gode la quiete di casa: «Ne approfitto come al solito per rivedere amici e parenti. Con me c’è anche un altro tennista, Ivan Dodig, anche lui di Medjugorje. A fine stagione è entrato fra i primi 100 della classifica Atp. Adesso è numero 88. L’altro giorno siamo stati insieme al Villaggio della Madre, un istituto che accoglie bambini abbandonati».È una delle tante opere di carità nate sulla scia delle apparizioni mariane: fondata per iniziativa di padre Slavko Barbaric, è stata costruita e viene mantenuta con le offerte dei pellegrini. Questo atleta, dall’agilità sorprendente per i suoi 198 centimetri di altezza, parla anche della sua fede con la naturalezza e la solidità del suo rovescio bimani, il suo colpo migliore – «È stata un aiuto importante, specialmente agli inizi, negli anni più duri della mia carriera, anche da lì ho trovato la forza per emergere» –, sapendo di essere in questo un caso abbastanza singolare fra i big del tennis mondiale. Rafael Nadal si professa ateo. Roger Federer cattolico non praticante. Di Juan Martin Del Potro è noto il segno della croce con cui sigilla ogni vittoria, più bacio al cielo indirizzato alla sorella morta in un incidente d’auto, ma nulla di più. «Non è facile condividere la fede nel nostro ambiente – spiega Cilic –. Generalmente i giocatori sono molto riservati su questo aspetto. Una persona speciale con cui ho potuto farlo è stato Riccardo Piatti, l’allenatore di Ivan Ljiubcic. È venuto a Medjugorje un paio di anni fa e l’ho accompagnato a vedere diverse cose». Una nota inattesa, questa su Piatti, il coach italiano forse più capace e noto a livello internazionale, ma che in fondo si attaglia al suo essere, anche tennisticamente, uno splendido solista. «Marin è un esempio per molti giovani» spiega uno che lo conosce bene, padre Branko Rados, già parroco di Medjugorje, oggi impegnato in Svizzera nella pastorale con la folta comunità proveniente dalla ex-Jugoslavia.«Sono stato anche il suo insegnante di religione a scuola – racconta il francescano –, viene da una famiglia profondamente cattolica ed è sempre stato come appare oggi: concentrato sul tennis, ottimista, ma soprattutto semplice e molto pacato. Anche troppo. Ricordo quando vinse da junior il Roland Garros. Venne a trovarmi in chiesa, voleva ringraziare la Madonna per quel successo. Io gli dissi che se voleva diventare uno dei più forti del mondo doveva tirare fuori più carattere. Penso che ci sia riuscito. Oggi sono tutti fieri di lui. E come campione è diventato anche un ambasciatore di Medjugorje».
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