lunedì 7 settembre 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
​Siamo un po’ troppo abituati a dir male dell’histoire-bataille. Certo, la scuola nozionistica e autoritaria del buon tempo andato (una scuola che qualcuno comincia a rimpiangere…) insegnava una storia a colpi di date, di dinastie regnanti e di eventi dei quali quelli bellici erano magna pars. Ma, per quanto possa sembrare strano, sono state proprio le correnti innovative nella ricerca storica a mostrarci fino a che punto può essere importante una battaglia.In uno scontro in campo aperto, tutto – dall’ambiente al paesaggio, alla situazione demografica locale, alla stagione e alle vicende meteorologiche (imprevedibili fino a qualche decennio fa), alla tecnologia, all’impiego di animali, agli usi alimentari (e relative tecniche di conservazione: dalla scatoletta di carne alla tavoletta di cioccolata, tutto è nato da necessità militari), alle cognizioni medico-infermieristiche ed epidemiologiche, alla musica di parata, alla psicologia collettiva, al regime simbolico di bandiere e insegne – è oggetto di ricerca storica. Partendo dallo studio interdisciplinare di un bottone d’uniforme in metallo dorato rinvenuto sul campo di battaglia di Waterloo si può arrivare a conclusioni impensate e impressionanti, che vanno dalla storia materiale a quella dell’immaginario (si pensi ad esempio alla paura, oggetto storico sul quale solo di recente si è imparato a meditare).Per tacere ovviamente della cosa fondamentale: il rapporto tra le singole battaglie e l’andamento di un conflitto e il suo peso sulla politica e sulla diplomazia. Alla luce di tutto ciò, colleghi insegnanti, ve la sentite di ripetere ancora una volta ai vostri allievi qualcuno dei nostri soliti luoghi comuni sull’inutilità di studiare le battaglie o addirittura sul loro carattere nocivo rispetto a un’«educazione alla pace»?Cinquecento anni or sono, presso l’odierna Melegnano nel Milanese (che allora si chiamava Marignano e dove sorgeva un famoso castello visconteo), fra il 13 e il 14 settembre del 1515 le truppe dell’allora ventunenne re di Francia Francesco I di Valois-Angoulême si scontrarono con quelle di Massimiliano Sforza, il ventitreenne figlio di Ludovico il Moro, da tre anni duca nominale di Milano la quale peraltro, insieme con tutto il ducato, era stata conquistata nel 1499 dai francesi di Luigi XII, predecessore di Francesco, ma poi perduta nel 1513.Era difatti allora in atto la guerra cosiddetta della Lega Santa, promossa dall’inquieto papa Giulio II della Rovere il quale – dopo aver organizzato nel 1508 insieme con l’imperatore romano-germanico Massimiliano I d’Asburgo e Luigi XII di Francia la Lega di Cambrai contro Venezia, che si era impadronita della Romagna orientale – una volta rientrato in possesso dei centri marittimi romagnoli, aveva cambiato atteggiamento e obiettivi, preoccupato per l’espansionismo francese in Italia settentrionale. Era nata così nel 1511, sempre per impulso del pontefice, una nuova Lega (denominata «Santa»), il motto della quale – ispirato alla cultura umanistica italiana, che si considerava erede di Roma – era stato «Fuori i barbari!». Suo scopo dichiarato era frenare l’espansionismo francese nel settentrione della Penisola, tanto più che la Francia poteva contare sulla fedele alleanza di Ercole II duca di Ferrara, per quanto (nominalmente almeno) vassallo della Chiesa. Alleati del papa in questa nuova Lega erano ancora l’imperatore Massimiliano, cui si era aggiunto Enrico VIII d’Inghilterra – contro il quale però la corona francese seppe abilmente sollevare gli scozzesi – e Ferdinando di Spagna (insomma, «barbari» anche loro, ma cointeressati a eliminare l’influenza francese sulla penisola italica).Alla Lega Santa si era accostata immediatamente la giovane confederazione elvetica, che aveva occupato quello che oggi è il Canton Ticino strappandolo di fatto agli Sforza, ma in quel momento ai francesi. L’allora poco più che cinquantenne Luigi XII, che pur aveva battuto l’armata della Lega nel 1512 con la battaglia di Ravenna, morì appunto nel 1515 dopo aver subito una serie di sconfitte che lo avevano costretto ad abbandonare il Milanese. Non avendo figli, lasciò la corona di Francia in eredità a suo cugino, il giovane Francesco di Valois-Angoulême figlio di Carlo duca d’Orléans e di Luisa di Savoia. Oltre che cugino di re Luigi, Francesco ne era anche il genero avendone sposato la figlia Claudia (da quelle nozze sarebbe nato nel 1519 Enrico II, il futuro marito di Caterina de’ Medici).A Melegnano il nuovo re si comportò eroicamente, venendo più volte ferito dai colpi delle lunghe, temibili picche dei fanti svizzeri. Ma, come a Ravenna, la potente cavalleria pesante francese – ormai già ampiamente messa in crisi, sui campi di battaglia del Rinascimento, dall’efficacia congiunta delle massicce formazioni dei picchieri a piedi e delle armi da fuoco – ebbe si può dire per l’ultima volta la meglio. Ormai padrone del ducato di Milano in un contesto che faceva apparire irreversibile la sua conquista, Francesco I avviò una saggia politica d’alleanza con Venezia e con gli svizzeri, che metteva al sicuro i suoi confini sia a oriente della Lombardia, sia nell’area alpino-renana. Era un’ottima scelta sia diplomatica sia strategica, che tuttavia fu messa in discussione dall’ascesa del giovane Carlo d’Asburgo il quale, figlio dell’erede del regno di Spagna Giovanna (a sua volta figlia di Ferdinando d’Aragona e d’Isabella di Castiglia), era divenuto nel 1516 sovrano d’un immenso impero che dall’Italia meridionale andava al Nuovo Mondo. Invano, nel 1519, Francesco I avrebbe tentato d’ostacolare l’elezione imperiale di Carlo: questi, con l’appoggio finanziario dei banchieri Fuegger, ebbe ragione delle esitazioni dei principi elettori, dopodiché nel 1521 con l’assenso di papa Leone X e di Enrico VIII d’Inghilterra avrebbe occupato la Lombardia, iniziando contro il re di Francia una guerra che si sarebbe chiusa con un’altra grande battaglia, quella di Pavia nel 1525. La giornata di Marignano fu pertanto un episodio centrale di quelle «guerre d’Italia» che per mezzo secolo, tra 1494 e 1544 (anno della pace di Crépy), desolarono l’Italia prima di abbandonarla all’egemonia asburgica. Il duello tra la compagine imperiale germano-ispanica e quella francese sarebbe continuato sul fronte europeo con vicende intrecciate alla Riforma protestante. Tuttavia il predominio francese sulla Lombardia, rafforzato da quel fatto d’armi, non avrebbe retto: nel 1536 l’imperatore Carlo V avrebbe annesso il ducato di Milano alla corona di Spagna.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: