giovedì 26 novembre 2020
Il fuoriclasse argentino riempiva il San Paolo (ieri illuminato a giorno) ma soprattutto la vita e il cuore di una città fatta a sua immagine e somiglianza, sempre sospesa tra dramma e melodramma
Tifosi napoletani davanti allo stadio San Paolo, rimasto illuminato per tutta la notte per rendere omaggio a Maradona

Tifosi napoletani davanti allo stadio San Paolo, rimasto illuminato per tutta la notte per rendere omaggio a Maradona - Ansa

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Quel numero dieci Napoli lo aspettava da tempo. Perché gli toccava. Toccava una maglia n.10, simbolo di classe, e di genio e sregolatezza, alla sua storia, un castello di grandezze e di miserie, sempre rappresentato, attraverso i secoli, da personaggi che ne segnavano il tempo. Tutte le arti, nel tempo, si sono affannate a raccontare e a interpretare una città capace come nessun’altra, di sgusciare via anche a se stessa, di disegnare ricami perfino nel pantano dei suoi patimenti e dei suoi tormenti.

Napoli non aspettava altro che quel numero dieci che scendeva in campo, certo, con la maglietta della squadra ma in realtà con le insegne di una città che, a sua volta, anche lui non avrebbe potuto fare a meno di cercare.

Napoli e Maradona hanno giocato solo nominalmente la loro partita nel catino del San Paolo, ieri rimasto illuminato tutta la notte.

Lo stadio è stato il teatro di una scena immensamente più grande, interpretata al massimo livello, nel bene e nel male, da due protagonisti specchiati l’uno nell’altro. Specchiati e compiaciuti, perché consapevoli che lo spettacolo che insieme offrivano – e non solo nei campi di calcio – era la rappresentazione unica di una perfetta simbiosi, di qualcosa che a Napoli era riuscito al punto tale da poterlo ostentare.

I dribbling di Maradona hanno così raccontato Napoli come e più delle penne dei suoi scrittori, delle canzoni dei suoi artisti, delle analisi dei suoi studiosi. È stata anche l’intellighenzia della città a lasciargli la parola, a celebrare le gesta di chi aveva finito per occupare tutte le cattedre disponibili: perfino quella, in un eccesso di “abbandono” al personaggio, del “maestro di vita” che non è mai stato e non ha mai preteso di essere.

Ma niente a Napoli è stato così preponderante e magico come quel suo sinistro, perché la città, nel suo insieme, cadesse sotto il suo piede. Passare in rassegna ciò che Maradona ha fatto vincere al Napoli, è come fare la lista della spesa alla tavola del Re. Neppure i due storici scudetti danno la misura di tutto il resto, cioè di tutto. E anche di quel “cambio d’aria” di cui Napoli si giovò in quegli anni, con il sorriso e finanche l’orgoglio ritrovato dopo gli anni della depressione e di un degrado al quale si finiva per guardare con la coda dell’occhio. Napoli era tutta nelle mani, e nel piede, di Maradona. Felice di esserlo, e, per la verità, anche poco preoccupata per una sorta di “sottomissione” che c’era – ed era evidente – ma che tutti ritenevano ampiamente compensata dalle gesta del “pibe de oro”.

Lumini accesi a Napoli per Maradona

Lumini accesi a Napoli per Maradona - Ansa

Di fronte a Maradona Napoli ha in sostanza messo alla prova la sua generosità, nel senso di una misura che non c’è mai stata, come una febbre sempre in atto capace di scuotere la città in ogni sua fibra. Al suo idolo la città ha spalancato tutte le sue porte. Non tutte, si sa, erano ben abitate, e gli è stato difficile evitare qualche trappola sul cammino.

La sua padronanza sulla città gli ha dato e, allo stesso tempo, tolto forza di fronte ad agganci decisamente pericolosi che ha affrontato a suo modo, con quella punta di ingenuità che si nascondeva in atteggiamenti talvolta eccentrici e guasconeschi. Oltre le righe era un po’ la misura ordinaria della Napoli di Maradona. Anche l’ironia non si curava di andare oltre, come quando davanti alle mura del cimitero di Poggioreale, dopo la conquista dello scudetto apparve il famoso striscione: «Non sapete che vi siete persi!». Su tutto c’era la regia di quel n.10 per il quale tutta Napoli cantava che «Maradona è megl’ e Pelé », come un inno, al pari di ’O Sole mio o U surdate nnammurate Ma il confronto sul piano tecnico non si poneva neppure.

Riempiva il San Paolo, ma Maradona riempiva sopratutto la vita e il cuore di una città fatta a sua immagine e somiglianza, spalle irrimediabilmente voltate alla normalità, nemica delle mezze misure, sempre sospesa tra dramma e melodramma. Una città che da sempre ha avuto cucita addosso una maglia n.10, marchio di fabbrica di genio e sregolatezza.

Maradona ha capito che quella maglia era sua, e che poteva indossarla non soltanto sul rettangolo verde, ma, proprio come Napoli, a tutto campo anche con la vita. Anche da lontano, Maradona è rimasto “padrone” di Napoli. Nel trentennale dello scudetto la città, come aveva fatto con Eduardo De Filippo, Totò, e Vittorio De Sica, gli ha aperto le porte del San Carlo, diventato, nell’occasione, quasi una “dependance” del San Paolo. Ma parlare di lontananza tra Napoli e Maradona quasi non ha senso. Soprattutto ora che quella maglia n.10 è tornata per sempre sulla maglia della città.

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