sabato 19 ottobre 2019
Dalla “Pantera Rosa” a “Moon River”, la sfida del chitarrista Gio Mancini: interpretare con il suo Quartet le celebri colonne sonore del grande (e omonimo) compositore
Henry Mancini

Henry Mancini

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I numeri, in primo luogo: cento e passa colonne sonore in quarant’anni di carriera. Quattro premi oscar su ben diciotto nomination. A cui andrebbero aggiunti venti premi Grammy, due Emmy, e le cifre che riferiscono di (ben) cinquecento canzoni composte, cinquanta album pubblicati e oltre trecento milioni di dischi venduti. Per celebrarlo come si deve, gli Stati Uniti hanno emesso persino un francobollo. Henry Mancini vi è ritratto nella posa che più gli si confà: quella da direttore d’orchestra di fonte alla platea, con la “sua” Pantera Rosa che sta a indicarlo, da un angolo, come a dire «vedete di cosa è capace il mio mentore musicale?».

Pantera rosa e Moon River (traccia-pilota, come si direbbe oggi, di Colazione al Tiffany) basterebbero da sole a garantirgli l’empireo dei geni della musica. Date cotante premesse, ne ha avuto di coraggio Gio Mancini a misurarsi col suo omonimo stellare e «probabile parente – spiega – Grazie al suo jazz e alle mie ricerche musicali sto andando anche alla scoperta dell’albero genealogico dei Mancini emigrati in America all’inizio del ’900».

Mancini’s touch – nove declinazioni jazz del compositore – poteva suonare profanatorio, gli esiti raccontano, invece, di un disco raffinato, decisamente all’altezza del touch originale. Gio Mancini e Quartet (Alessandro Patti al contrabbasso, Mario Caporilli alla tromba e filicorno, Alessandro Blasi alla batteria) rileggono i brani in chiave non pedissequa, divagando anzi con buona personalità.

Il repertorio di Henry Mancini vanta a buon diritto lo statuto di classico. Quali sono state le difficoltà che ha dovuto affrontare dal momento in cui ne ha accettato il confronto?

«La difficoltà principale è stata quella di adattare le composizioni pensate per grandi ensemble orchestrali, funzionali al lavoro cinematografico, a un piccolo insieme di quattro strumenti. È stato inoltre difficile renderle in forma “standard” jazz, per lo più. Le colonne sonore, così come la maggior parte della scrittura di Mancini, spesso non hanno inciso e raramente prevedono spazi per improvvisazioni strumentali…»

E quindi?

«Quindi ho rielaborato le strutture e lì dove c’era necessità, anche le armonie, per permettere ai musicisti di esplorare le timbriche dei loro strumenti anche attraverso l’improvvisazione».

Pur se connotata da una certa varietà di climi, la scaletta si compone di soli nove brani. Come dire una goccia nell’oceano vastissimo delle musiche del compositore. Quali direttive ha assecondato per la scelta delle tracce?

«Anche la scelta del repertorio è stata difficile, proprio per l’enorme produzione di Mancini. Ho seguito il gusto personale, scegliendo brani a cui sono più legato affettivamente. La presenza nel quartetto di un bravissimo solista della tromba (Mario Caporilli) ha dettato inoltre le scelte più giuste al suo strumento. Ho cercato di spaziare anche in diversi generi…»

Per esempio?

«Ci sono sonorità classiche jazzistiche come Straight to Babyo la famosa The Pink Panther, però ci sono pezzi meno noti come Mr. Yunioshi o A Shot in the Dark, più di impatto, con divagazioni a tratti rock o sperimentali».

Che ne ha “pensato” la sua chitarra?

«Ho sempre l’esigenza di rispettare le “smanie” del mio strumento. Mi sembra riduttivo re- legarla a una sola sonorità, così l’ho assecondata, attraversando anche il rock e suoni acidi e distorti. E tutto questo in un disco dedicato a Henry Mancini».

Sull’apporto fondamentale del commento sonoro alla pellicola sono stati spesi fiumi di parole. Qual era il suo rapporto con le sound track prima di Mancini’s touch, e come è cambiato - se è cambiato - il suo modo di vedere musicalmente un film, alla luce di questa esperienza?

«Nell’album figurano pezzi che conoscevo bene prima ancora di vedere i film. Penso a Moon River o a Baby Elephant Walk. Quando ho avuto modo di assistere alle pellicole per cui erano stati scritti, ho apprezzato ancora di più il genio di Mancini, capace di comporre melodie immortali a prescindere dalla loro funzionalità. È raro che succeda per le musiche da film. Per rispondere meglio alla sua domanda, l’opportunità di manipolare il materiale del compositore mi ha fatto capire che per scrivere una buona colonna sonora, occorre saper scrivere una buona canzone. Può sembrare scontato, ma riuscire ad accostare la funzionalità alla fruibilità decontestualizzata dalla pellicola, può rivelarsi la scelta vincente, anche se estremamente difficile da realizzare. Two for the road registra l’intervento vocale di Carlotta Proietti, la figlia del grande Gigi, il quale mi ha trasmesso l’amore per i grandi compositori di colonne sonore del cinema italiano - come Piero Piccioni e Armando Trovajoli - con i quali ha lavorato».

Carlotta rappresenta la sola eccezione in un disco dove la musica è bastante a se stessa, cioè predomina nettamente sulla parola. C’è una precisa scelta di campo dietro questa preferenza?

Two for the road è una canzone molto romantica e anche per questo ho scelto l’apporto del fantastico quintetto di archi Energheia string quintet. Una melodia così andava cantata e ho avuto la fortuna della partecipazione di Carlotta che ama tutto ciò che è legato al cinema e al teatro. In questo caso probabilmente la mancanza della voce non avrebbe reso giustizia alla composizione originale che nelle varie versioni è spesso cantata».

L’ultima domanda è canonica, del tipo che ha indotto Franco Battiato a intitolare provocatoriamente il suo primo cover-album Fleurs 2: Mancini’s touch avrà un suo secondo capitolo?

«Non so se ci sarà un seguito a questo Mancini’s touch. Per il prossimo disco siamo più orientati verso composizioni originali, cercando però di mantenere vive la direzione e le lezioni apprese da Henry Mancini: puntare sulle melodie e sui timbri strumentali, senza divagare troppo nelle improvvisazioni. Nel frattempo stiamo accompagnando il disco nei locali della capitale e fra marzo e aprile saremo impegnati in un mini tour che ci porterà in Francia, Belgio e Germania».

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