mercoledì 1 settembre 2021
Viaggio nell’oratorio di San Sebastiano, nella città in cui è nato e cresciuto il ct «Nella sua Nazionale, ha trasferito la lezione appresa da don Vigo, qui nella squadra parrocchiale»
L’oratorio di San Sebastiano, a Jesi, dove è nato e cresciuto Mancini

L’oratorio di San Sebastiano, a Jesi, dove è nato e cresciuto Mancini

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La Nazionale campione d’Europa di Roberto Mancini domani sera torna in campo, a Firenze contro la Bulgaria, ma forse molti non sanno che parte del grande successo del ct azzurro origina da un maestro del calcio d’oratorio che rispondeva al nome di don Roberto Vigo. Un figura carismatica, il “monsignore di Jesi”. Sguardo profondo alla cardinal Martini per intenderci, don Vigo è l’anima indimenticata della parrocchia di San Sebastiano, a Jesi, dove ha cresciuto e educato intere generazioni nel mezzo secolo e più di missione cristiana. «Siamo nel quartiere Prato, vicino alla stazione. Una zona segnata dalla multiculturalità, dall’interazione fra religioni distinte ma anche da tante e differenti povertà umane», dice don Federico Rango, viceparroco di San Sebastiano e coordinatore della Pastorale giovanile di Jesi. Don Federico, 30 anni, è l’ultimo, anagraficamente parlando dei testimoni della preziosa filosofia che don Vigo ha lasciato in eredità al parroco attuale, don Adelio Papi, 70 anni e grande appassionato del calcio oratoriale che lo vede ancora protagonista di partitelle sul campo dell’Aurora.

La seconda società sportiva più antica della provincia di Ancona, fondata da don Vigo dopo la primigenia Spes. Ma è nell’Aurora che il giovanissimo Mancini ha tirato i primi calci ad un pallone. E il primo ad accorgersi del suo talento immenso fu proprio don Vigo che, a sua volta, tra i tanti talenti possedeva anche quello per il pallone e per il ciclismo. Come si legge anche nella biografia che gli è stata dedicata Don Roberto Vigo dalla parrocchia alla città, lo sport tutto era il suo secondo pane quotidiano «assieme alla musica: don Roberto è stato anche compositore e qui aveva fondato la Corale Pergolesiana», ricorda don Rango. Musica e sport palestre di vita, tant’è che in occasione dei cinque anni dalla morte, lo spettacolo teatrale che ne omaggiava la memoria si intitolava Anche le biciclette vanno in Paradiso. Quella sera in prima fila al teatro parrocchiale c’era anche il ct azzurro Roberto Mancini che la lezione di monsignor Vigo l’ha fatta sua da un pezzo, ed è riuscita a farla apprendere anche alla Nazionale degli “Oratoriani”.

Gli azzurri campioni d’Europa, da Locatelli a Belotti, passando per Pessina fino a Sirigu, sono nati e cresciuti anche calcisticamente in ambienti simili all’Aurora di don Vigo. «L’Aurora nel frattempo è diventata una società sportiva autonoma con 250 tesserati, più le 180 ragazze della squadra di calcio femminile della Jesina. Ma ognuna di queste componenti ha mantenuto la matrice oratoriale, e il campo è sempre lo stesso dai tempi del “Mancio”, quello del San Sebastiano», sottolinea don Adelio. Radici salde oratoriali che si ritrovano fino al vertice della società sportiva: il presidente dell’Aurora, il 43enne Emiliano Togni, è uno dei tanti figli venuti su all’ombra di monsignor Vigo. «Emiliano è anche l’economo della parrocchia – sottolinea don Rango – . La “buona novella” che predichiamo a San Sebastiano si respira anche nello spogliatoio, in campo e fuori con gli allenatori che sono prima di tutto degli educatori, i quali, si fermano sempre a fine allenamento a scambiare quattro chiacchiere con i ragazzi e con i loro genitori. Sia con l’Aurora che con la Jesina femminile, i dirigenti fanno sempre in modo di venire incontro a quelle famiglie più bisognose, sostenendole nel pagamento della quota di iscrizione annuale e stando sempre molto attenti alla crescita sportiva e scolastica dei ragazzi».

È l’insegnamento di don Vigo, che rimbalza nel tempo come un pallone da calcio, ma anche di basket e pallavolo, le altre due discipline più praticate all’interno della parrocchia di San Sebastiano. Solo la Corale, dal novembre 2014 – quando è morto il suo fondatore – , ha smesso di cantare. Ma la musica non è mai finita. Si canta nelle sere d’estate nei campi estivi che, dagli anni ’80, venivano silenziosamente organizzati e finanziati da un’altra figura esemplare della parrocchia jesina, il dottor Primo Luigi Bini. «Altra personalità unica, anche spiritualmente parlando: il dottor Bini era il pediatra di tutti i bambini del quartiere Prato. Molti di loro, che il dottor Bini ha visto nascere, hanno potuto beneficiare della grande generosità di quest’uomo vicinissimo a don Roberto». Tanti di quei ragazzi di don Vigo, oggi sono diventati la colonna portante dell’«istituzione modello» di Jesi. La cittadina anconetana di 40mila abitanti, nota anche come la “capitale olimpica” della scherma. Quest’anno, la storica Scuola di Jesi (la casa dell’ex regina azzurra ora Sottosegretario allo Sport, Valentina Vezzali) non ha riportato neanche una medaglia dai Giochi di Tokyo «e di ciò siamo tutti dispiaciuti», dice don Rango.

Ma l’oro europeo di Mancini compensa, ed è una medaglia che ogni jesino si è appuntata al petto, a cominciare ovviamente dai parrocchiani di San Sebastiano. Qui, quelli con i capelli bianchi si ricordano ancora del piccolo “Mancio” che, fino a quando i dirigenti del Bologna non vennero a prenderselo, a 13 anni, passava direttamente dalla casa dei genitori, al campetto dell’oratorio. La leggenda racconta di una partita disputata perfino il giorno della sua Cresima, e don Federico conferma che «quella è una storia vera». «C’era sempre lo zampino di don Vigo – racconta don Adelio – . Quella domenica sapeva che senza Roberto in campo l’Aurora avrebbe sofferto, e allora celebrò più in fretta possibile la Santa Messa dei cresimati, in modo che Roberto potesse raggiungere i suoi compagni e scendere regolarmente in campo». Pallone, catechismo tutta la settimana e la Santa Messa alla domenica – prima o dopo la partita – : sono stati questi i tre precetti che Mancini ha appreso prima in famiglia – da papà Aldo, falegname rientrato dalla Germania dove era emigrato da ragazzo e mamma Marianna infermiera all’ospedale di Jesi – e poi dall’incontro fondamentale con don Vigo, simbolo della Jesi cattolica e non solo. «Il carisma del nostro Monsignore era tale che riuscì anche nell’impresa di portare a San Sebastiano tanti vecchi comunisti distanti dal credo cristiano – ricorda don Adelio – . E di questo andava fiero... come dei successi del suo Roberto». Mancini quando torna a Jesi viene avvistato in sella alla bicicletta da corsa (il ciclismo è l’altra passione ereditata da don Vigo) che vola a far visita al Santuario della Madonna delle Grazie, luogo di culto a cui è legato quanto quello della Madonna di Medugorje.

Il ct azzurro poi, anche a distanza, non manca mai di far sentire la sua presenza alla parrocchia di San Sebastiano, seguendo a ruota il saggio monito di di Gino Bartali: «Il bene si fa ma non si dice». L’oratorio, intanto nel tempo ha mantenuto intatto lo spirito d’accoglienza. A cambiare sono solo le iniziative che provano ad andare incontro ai mutamenti sociali della città e del quartiere. «La lezione di don Vigo prosegue alla lettera, ma il mio approccio di stampo salesiano porta a un progetto di “oratorio di strada” – conclude don Rango – . Stiamo mettendo in piedi una squadra di educatori che punta a promuovere i “giochi in uscita”, cioè portare fuori dalle mura di San Sebastiano le attività ludiche e organizzarle nei cortili delle case popolari, invitando i bambini a scendere giù dalle case per unirsi agli altri del quartiere Prato. Non sarà facile, ma noi ci proviamo». Don Vigo insegnava che nulla è impossibile, anche arrivare sul tetto d’Europa, come il “Mancio”, uno dei tanti figli prediletti presi dalla strada e arrivati lontano, grazie alla sua eterna protezione.

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