domenica 6 giugno 2021
Una parte cospicua del secondo “Meridiano” delle Opere di Claudio Magris è occupata da una serie di Autoantologie in cui confluiscono testi tutt’altro che uniformi quanto a genere letterario
Claudio Magris

Claudio Magris - Ansa/Stefano Porta

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Una parte cospicua del secondo “Meridiano” delle Opere di Claudio Magris (Mondadori, pagine CLXII+1756, euro 80) è occupata da una serie di Autoantologie in cui confluiscono testi tutt’altro che uniformi quanto a genere letterario. Si va dai saggi dell’Anello di Clarisse (1984) alle miniature narrative di Istantanee (2016), dagli scritti di impegno civile di Livelli di guardia (2011) ai racconti di Tempo curvo a Krems, il libro col quale nel 2019 l’autore ha celebrato l’ottantesimo compleanno. Un’esuberanza di soluzioni (già di per sé accomunate dall’esattezza di una prosa sempre sorvegliata) che vale a conferma di quella «identità plurale» che la curatrice Ernestina Pellegrini indica come il tratto più caratteristico della vicenda intellettuale e personale di Magris. Studioso della letteratura mitteleuropea, col passare degli anni l’autore triestino ha accentuato il suo profilo di “scrittore di mezzo”, capace di assimilare una varietà di suggestioni che non si esauriscono nella rivisitazione di un patrimonio culturale padroneggiato con maestria, ma contemplano con frequenza crescente il ricorso all’invenzione romanzesca e alla stilizzazione teatrale.

Così, se l’epopea dal vero di Danubio (1986) costituiva il caposaldo del primo “Meridiano” delle Opere, uscito nel 2012, a fare da baricentro al secondo volume è adesso il più esplicitamente romanzesco, ma non meno documentato Non luogo a procedere (2015), nel quale il difficile confronto con la memoria della Risiera di San Sabba diventa strumento per un’ulteriore esplorazione della storia europea. Quello che in Danubio avveniva per effetto del movimento, assecondando il corso delle acque, in Non luogo a procedere si compie in virtù dell’ostinata permanenza in un “luogo”, appunto, nel quale sembrano darsi convegno dignità e atrocità, vergogna e riscatto. In maniera tutt’altro che casuale, Ernestina Pellegrini suggerisce di considerare l’attività di drammaturgo come possibile punto di approdo di un itinerario straordinariamente ramificato. E non soltanto per la qualità delle prove teatrali di Magris, tra le quali spicca la magnifica rivisitazione del mito di Euridice affidata a Lei dunque capirà (2006).

Su un altro piano, infatti, la destinazione scenica comporta un ulteriore affinamento della parola, nella direzione di un’asciuttezza o, meglio, di un’adesione alla realtà che trova espressione specifica nella vasta produzione giornalistica di Magris. Si tratta di un aspetto molto caro all’autore, che lo ha coltivato nel tempo anche a costo di sfidare il pregiudizio che suggerisce (o forse suggeriva) agli accademici di non immischiarsi troppo con i quotidiani. La stessa Pellegrini si sofferma sulla determinazione con cui Magris, fin dagli esordi, ha sempre cercato il dialogo con un pubblico più ampio: la cronaca, per lui, non agisce da distrazione, ma offre l’opportunità di verificare nella concretezza quelle che, altrimenti, resterebbe istanze teoriche, se non rassicuranti buone intenzioni. Colpisce, in questo senso, un dettaglio che non è solamente tipografico. Il primo dei “Meridiani” copre il periodo 1963-1995, il secondo si estende dal 1997 al 2019. Manca un anno, il 1996, che è quello nel quale si conclude il breve mandato senatoriale di Magris, assunto con la volontà di contribuire più direttamente al dibattito politico.

L’esperienza, apparentemente effimera, ha comunque una funzione di cesura, perché a partire da questo momento Magris sembra rivolgersi con rinnovata convinzione alla finzione romanzesca. Che non rappresenta affatto un diversivo e si rivela, al contrario, occasione di indagine e riflessione. Nel frattempo, però, continua la frequentazione dei maestri, continua il coinvolgimento nella società. Esemplari, in questo senso, due capitoli accolti nelle Autoantologie: il paragone tra l’amatissimo Theodor Fontane e il non meno grande August Strindberg proveniente da Utopia e disincanto (1999) e la rivendicazione del principio di laicità come tutela del pluralismo già apparsa in La storia non è finita (2006). Magris non ha mai nascosto il proprio interesse per la dimensione religiosa, che per lui si traduce in un appassionato cristianesimo naturale del quale si ritrova traccia in molte pagine dei due “Meridiani”. Tra tutte, si può provvisoriamente scegliere un’“istantanea” colta nei pressi del tempio di Shiva a Benares, con l’apparizione di una mendicante bambina trascinata in un’impietosa lotta per la sopravvivenza. Un dramma senza parole, questa volta, davanti al quale Magris non può non pensare al Regno che Gesù ha destinato ai bambini.

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