giovedì 16 aprile 2009
Solo ora si comincia a studiare il ruolo delle religiose nella lotta di Liberazione. E in tutta la Penisola fioriscono le storie di protagoniste troppo dimenticate. Dalle Clarisse di Assisi alle Dorotee di Vicenza, ai 130 conventi di Roma, dovunque le suore aprirono le porte a ebrei e perseguitati politici
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Le ricerche storiche di Giorgio Vecchio non solo hanno do­cumentato la presenza dei preti nel moto di liberazione, ma affermano che la Resistenza stessa non può essere interpretata come un movimento esclusivamente ar­mato: «Oggi siamo più consapevoli che alla figura del partigiano arma­to bisogna affiancarne delle altre: altri partigiani, con fazzoletti non rossi bensì verdi o azzurri; e poi donne, tante donne, di ogni classe sociale; e cittadini con gli abiti sdruciti e senza idee politiche par­ticolari; e ancora, preti, frati e suo­re». Anche per monsignor Ennio A­peciti è un peccato che il contribu­to «delle religiose non solo alla Re­sistenza, ma più ampiamente al­l’aiuto a migliaia di oppressi, pri­gionieri, profughi, ebrei che vissero quel tempo drammatico non sia ancora conosciuto, anzi sia coper­to da uno strano 'silenzio'. Occor­re una correzione di rotta con lo scopo di rompere lo strano silenzio e, se possibile, rendere giustizia a tante donne dimenticate, tra que­ste la schiera silenziosa delle reli­giose». Dopo l’8 settembre 1943 in molte località del Paese si registra­rono gesti significativi di solida­rietà e di resistenza nei conventi e negli istituti religiosi femminili, atti che esprimevano l’intento di con­tenere la violenza, di assistere in varie forme la popolazione o i par­tigiani militanti in clandestinità, fa­cendosi carico del destino di estra­nei, sconosciuti, ebrei, sfamando e proteggendo, nascondendo perso­ne messe a rischio dalla guerra. Un autentico maternage. Così la gior­nalista Barbara Garavaglia docu­menta una scheggia di storia anco­ra sconosciuta, di matrice umbra. Furono molti infatti gli ebrei in fu­ga, i soldati allo sbando, gli sfollati, i partigiani, i perseguitati politici che trovarono rifugio nei sotterra­nei delle clarisse di San Quirico di Assisi. Nel «Libro delle memorie» del convento madre Maria Giusep­pina Biviglia annotava: «Le perso­ne che si rifugiavano da noi furono per grazia di Dio nei nostri riguardi tutte oneste, rette, buone e anche religiose, tanto i cattolici quanto gli ebrei. Venne qualche fasci­sta durante il governo Ba­doglio e dopo l’entrata de­gli Americani; qualche so­cialista... era proprio un’ar­ca di Noè». Suor Grazia Lo­parco – docente della Pon­tificia Facoltà di Scienze dell’educazione – ha pub­blicato uno studio sull’assi­stenza prestata dalle reli­giose di Roma agli ebrei durante la seconda guerra mondiale. («Gli Ebrei negli istituti religiosi a Roma 1943-1944», in Rivista di storia della Chiesa in Ita­lia). Per la prima volta vi si documenta che a Roma fu­rono 4329 gli ebrei salvati nei 200 istituti religiosi nel­la città, di cui 133 erano femminili e vennero pre­servati dalle incursioni na­ziste da appositi cartelli predisposti dalla Santa Sede. Lo studio ha evidenziato «l’apporto singolare delle religiose per na­scondere gli ebrei a Roma tra l’au­tunno del 1943 e il 4 giugno 1944, quando cessò l’emergenza. La San­ta Sede aveva provveduto a garan­tire gli stabili dinanzi al governo e poi incoraggiò l’ospitalità e la mi­sericordia ». Suor Albarosa Bassani di Vicenza ha pubblicato invece un lavoro su «Le suore Dorotee duran­te la seconda guerra mondiale», nel quale documenta atti di coraggio e di aiuto alla popolazione, agli sbandati, ai partigiani. Per suor Albarosa «durante la guerra le suore Dorotee hanno compiuto atti di va­lore civile finora rimasti sconosciuti anche alla storia locale. Centinaia di donne consacrate misero a repentaglio la loro vita per aiutare chi aveva bisogno, dai malati alle povere pazze, alle orfanelle, all’umile gente dei quartieri romani». Un ca­pitolo significativo è quello della partecipazione delle Dorotee alla Resistenza. Pres­so le carceri di San Biagio di Vicenza suor Demetria Stra­pazzon era chiamata l’«angelo di San Biagio» e la «mamma dei detenuti» perché – precisa suor Albarosa Bassani – vigila­va «sulle donne, preparava alla morte i condannati alla fucila­zione, raccoglieva i loro deside­ne. ri per trasmetterli alla famiglia. Ai detenuti partigiani che ritornava­no torturati, fra questi qualche sa­cerdote, lei preparava un caffè o un calmante, medicava loro le piaghe e li incoraggiava». La figura di suor Demetria è incredibil­mente simile a quella di suor En­richetta Alfieri che operava nel carcere milanese di San Vittore ed era pure chiamata dai dete­nuti politici «l’Angelo e la mam­ma di San Vittore». Suor Enri­chetta passava tra le stanze del­l’infermeria del carcere e nelle profonde tasche del suo grem­biulone teneva medicinali, so­prattutto «biglietti» preziosi che riuscivano a salvare vite uma- Cambattimento casa per casa per liberare una città italiana durante gli ultimi mesi della Resistenza. Sotto, dall’alto: le suore del carcere di San Vittore a Milano; l’avviso bilingue che attestava la protezione vaticana sui conventi; lapide delle Clarisse di Assisi Venne scoperta e arrestata ri­schiando la fucilazione e l’interna­mento nei lager nazisti. A Milano suor Alfieri è la figura di religiosa più nota, ma nella città e in Lom­bardia operarono nel nascondi­mento altre religiose come suor Te­resa Scalpellini e suor Giovanna Mosna, che prestarono servizio di infermiere all’Ospedale Maggiore di Niguarda e tramite una rete clandestina di antifascisti collabo­ravano con medici e infermiere ad assistere i detenuti politici, orga­nizzare la loro fuga, raccogliere materiale sanitario per partigiani ed ebrei. Madre Donata, superiora delle Poverelle dell’Istituto Palazzo­lo di Milano, è un’altra figura di re­ligiosa sconosciuta; sotto la sua guida, con il tacito consenso delle autorità ecclesiastiche, il Palazzolo divenne il soggiorno obbligato de­gli ebrei che transitavano da Mila­no avviati clandestinamente in Svizzera. Madre Donata venne sco­perta e incarcerata a San Vittore. Sempre a Milano, nell’istituto Casa di Nazareth, gli ebrei venivano se­guiti da una suora strettamente le­gata al segreto con tutti. In qualche circostanza, collaborando con sa­cerdoti, fu possibile accompagnare gli ebrei oltre confine. Ma la Casa di Nazareth ospitò anche il Co­mando dei Volontari della Libertà e vi soggiornarono l’onorevole Gian­franco Mattei e il generale Raffaele Cadorna, che avevano l’incarico di organizzare e gestire le ultime fasi dell’insurrezione. Dalla cronaca della Casa Nazareth, datata proprio 25 aprile 1945, si legge: «Quante grazie per il nostro Istituto, per le nostre Case e specialmente per la nostra diletta Nazareth! La nostra Reverendissima madre generale Rosa Chiarina Solari, certo per ispi­razione divina fine strumento che Dio adoperò per compiere i suoi disegni di misericordia, fu richiesta d’un locale ove di tanto in tanto i Capi dello Stato maggiore del Co­mitato di Liberazione si radunava­no per studiare i loro piani di rivol­ta. In casa nessuno era al fatto della cosa, che per prudenza non fu co­municata a nessuno». Non manca­rono episodi di segno contrario, ma per suor Grazia Loparco la pre­senza delle religiose nella guerra fu «un’esperienza concreta della ca­rità di donne che si sono chinate sulle povertà, sulle debolezze e sul­le infermità di persone bisognose di aiuto».
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