sabato 8 giugno 2019
Il presidente brasiliano Bolsonaro ha soppresso i fondi federali per le facoltà filosofiche e sociologiche. Un momento opportuno per lanciare e promuovere in Italia il Manifesto pro-filosofia
La filosofia torni a essere unità del sapere
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È del 27 aprile l’annuncio choc del neopresidente brasiliano Jair Bolsonaro. L’ex capitano dell’esercito ha comunicato con un tweet che saranno sospesi con decorrenza immediata i fondi federali alle facoltà di Filosofia e Sociologia. Potrà finire gli studi chi è già in corso, ma d’ora in poi chi vorrà acquisire un curriculum umanistico-sociale dovrà pagarselo interamente. Molto meglio che i giovani si iscrivano a Ingegneria, Medicina e Veterinaria, specializzazioni che producono un immediato ritorno economico, per il singolo e la collettività. Gli universitari sono scesi in piazza, sostenuti da una petizione internazionale lanciata da Harvard, e Bolsonaro li ha definiti “utili idioti”.

È una coincidenza utile (ma niente affatto idiota), allora, che negli stessi giorni in Italia sia stato lanciato un Manifesto per la filosofia, promosso da due docenti della materia – Marco Ferrari e Gian Paolo Terravecchia – e subito firmato da decine di accademici. Lo scopo dei promotori è preciso: «Chiediamo che la filosofia sia adeguatamente riconosciuta nell’esame di Stato, che sia inserita in tutti i curricula scolastici, compresi gli istituti tecnici e sia valorizzata nella formazione universitaria e nelle pratiche formative professionali del mondo del lavoro». La situazione italiana non è nemmeno paragonabile al colpo di mano compiuto nel grande Paese sudamericano che sta scivolando verso l’autoritarismo.

Eppure, anche da noi la filosofia non se la passa bene. In Il censimento dei radical chic, amara e divertente parodia in forma di romanzo breve, Giacomo Papi coglie lo Zeitgeist con un incipit folgorante: «Il primo lo ammazzarono perché aveva citato Spinoza durante un talk show». L’anti-intellettualismo guadagna spazio, fortunatamente non ha ancora adottato metodi violenti, tuttavia lo spazio per il pensiero libero e critico, animato dal desiderio di conoscenza secondo chiarezza, razionalità e coerenza, sembra ridursi progressivamente. Perché, qui sì l’analogia con Bolsonaro è calzante, con la cultura che produce poco Pil non si mangia, non si fa audience, non si riempiono nemmeno le aule.

Come scrivono gli estensori del documento a favore degli studenti brasiliani, la filosofia mette in discussione i nostri modi di pensare e di agire, ci insegna a vedere come viviamo e come dovremmo vivere, ci stimola a cercare un mondo più equo e giusto. Inoltre, i filosofi (almeno quelli aggiornati) si interrogano su significato, ricadute e potenzialità del progresso scientifico e tecnologico. Si pensi a nuove branche della filosofia come la neuroetica e il neurodiritto, che rispettivamente indagano le implicazioni etico-antropologiche e giuridiche delle più recenti acquisizioni neuroscientifiche. Oppure si ricordi il ruolo giocato dalla logica nello sviluppo della tecnologia digitale e dell’intelligenza artificiale.

E, ancora, come non citare la cruciale dimensione etica della riflessione di Amartya Sen, premio Nobel per l’Economia o il contributo offerto dai filosofi della scienza alla comprensione del senso della meccanica quantistica? Ma anche uno strumento sociale oggi tanto discusso come il reddito di cittadinanza ha avuto tra i suoi principali alfieri un filosofo, Philippe Van Parijs (anche se va detto che la proposta originaria di van Parijs è stato progressivamente snaturata dalle caotiche vicende della politica italiana). Soprattutto, quando è ben fatta, la filosofia è in grado di gettare un ponte tra le diverse forme del sapere, facendo saltare l’onnipresente (ma obsoleta e dannosa) frattura tra le cosiddette “due (o tre) culture”: quella umanistica, quella scientifica (e quella delle scienze sociali).

Non c’è dubbio, questo sì, che il sistema scolastico italiano vada riformato. Troppo nozionismo, una separazione eccessivamente rigida tra i saperi, il ruolo esorbitante attribuito all’acquisizione passiva delle conoscenze rispetto alle capacità di elaborazione personale da parte degli studenti fanno della scuola italiana un’istituzione spesso ancora efficace (in linea con il suo passato glorioso), ma dal futuro assai incerto. E non c’è nemmeno dubbio che ai nostri studenti vadano insegnate meglio e di più le discipline scientifiche, mostrando quanto esse siano indispensabili per la vita quotidiana di tutti noi.

Per perseguire questi giusti obiettivi, tuttavia, non si può certo seguire la linea oscurantista di Bolsonaro, che con un tweet cancella la filosofia dai curricula. Piuttosto, occorre ripensare al modo in cui la filosofia viene insegnata, smettendo di presentarla come un deposito di geniali ma arcaiche ipotesi sul mondo umano o sul cosmo. La filosofia trova il suo senso più autentico e la sua massima vitalità intellettuale quando è trattata come uno strumento essenziale per l’unificazione delle altre forme del sapere e la comprensione della realtà nel senso più ampio. È proprio così, d’altra parte, che l’hanno sempre considerata i grandi maestri del passato.

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