mercoledì 19 ottobre 2011
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Nella solitudine della canonica il prete ripercorre e coltiva tutti i dubbi della sua fede, il caro prezzo pagato al celibato come la distanza che lo separa da Cristo, che lo guarda “da un tempo troppo lontano”. “Ho fatto il prete per fare del bene”, dice, “ma per fare il bene non serve la fede. Il bene è più della fede”». Questo avevo scritto, commentando: «Il bilancio del vecchio sacerdote sembra viziato da un equivoco. Non ci si fa prete “per fare del bene”, ma per portare Cristo agli uomini, che è assai di più». Certamente si può fare del grandissimo bene senza alcuna fede. La valenza della carità cristiana però si richiama esplicitamente al rapporto con Cristo. Come diceva Madre Teresa, che non era una teologa, ma cristiana lo era: «Io faccio quello che faccio perché riconosco il volto di Cristo in ogni povero che incontro». Ecco, è questo rapporto che a me pare appannato nel film di Olmi. Nel pezzo riferivo di una risposta del regista a un giornalista che gli domandava chi era per lui Dio: «L’altro giorno – diceva – ho letto di una stella implosa e di un’altra nata nel contempo. Così lontana, che la sua luce ci raggiunge quando lei potrebbe essere già morta. Quella luce, che forse non c’è più ma è eterna, a me fa venire in mente Dio». Dio, la luce di una stella morta; bella metafora, ma drammaticamente malinconica, per chi crede in un Cristo vivo.
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