venerdì 19 giugno 2009
Brutta figura della nazionale italiana nel secondo turno di Confederations Cup. Gli africani ci danno lezione di calcio e vincono. Ora l'eliminazione è vicina.
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Uniamoci a Marcello Lippi e appellia­moci alle certezze (poche) che ci strap­pano ancora un sorriso di convenien­za dopo la figuraccia contro l’Egitto. Si sa che i nostri cavano il meglio quando la barca sta per affondare. E allora aggrappiamoci a questa massima perché oggi sappiamo di non essere granché e soprattutto apprendiamo che altri, vedi Egitto, corrono il doppio e giocano deci­samente meglio. La parte della Sfinge ieri sera a Johannesburg l’hanno fatta i vecchi gladiatori di Berlino, nu­mericamente sconfitti di misura ma surclassa­ti nei contenuti. Per arrivare in semifinale e da­re un senso a questo torneo propedeutico al Mondiale, ora potrebbe non bastare nemme­no battere il Brasile domenica sera. Per la cer­tezza matematica occorrerebbe vincere con due reti di scarto. Lippi ha insistito con la nostalgia e i nomi di sempre, dopo tanti esperimenti che pure ave­vano collezionato futuro e speranza. Si va a­vanti con i campioni del mondo, la certezza per il ct è quasi un dogma. Cannavaro (125 pre­senze, ne manca una per eguagliare il record di Paolo Maldini) rientra dopo l’infortunio: con lui Chiellini in mezzo, Zambrotta a destra, Gros­so a sinistra. A centrocampo la coppia Pirlo-­De Rossi è supportata dai polmoni (ancora) un po’ spompi di Gattuso ma fa niente: l’impor­tante è non allontanarsi troppo da Berlino. Per­ché - Lippi dixit - anima e compattezza del gruppo non si barattano con il gioco e, tanto­meno, con le innovazioni forzate. Davanti, il ct promuove Giuseppe Rossi titolare dopo la dop­pietta agli Stati Uniti, Iaquinta e Quagliarella completano un trio offensivo sul filo dell’uto­pia. E’ insomma una nazionale che abbando­na il caro vecchio (Italico) motto del primo non prenderle, salvo cadere in depressione al van­taggio egiziano nei minuti finali del primo tem­po. La messa in opera firmata Lippi sembrava nella prima mezz'ora non tradire poi tanto le mi­gliori intenzioni: i 'vecchi' campioni hanno macinato calcio, hanno provato anche a con­dirlo di poesia. Cose buone dal mondo, contro i campioni d’Africa, difficili da impallinare con il solo blasone. Poi il vuoto, l’assenza ingiusti­ficata, le gambe azzurre dure e poco reattive. L’Italia ha verticalizzato tanto ma senza mai a­zionare il suo tridente: manca il solista, si è vi­sto ad occhio nudo. Maliziosamente si può di­re sia più facile trovare un ago nel pagliaio che il Baggio di domani. Il convento passa questo, inutile non farsene una ragione. Nei primi 45’ si contano un gran sinistro di Rossi e una mez­za conclusone di Iaquinta. Palese la povertà numerica delle occasioni, come palese, nella sconfitta di ieri, è stata anche la sofferenza a­tletica azzurra quando l’Egitto si è fatto avan­ti. Soprattutto da sinistra, dove Grosso ha ri­piegato poco e male e il discreto Fatih si è tra­vestito da fenomeno con frequenza imbaraz­zante. La capitalizzazione egiziana al 40’ su calcio d’angolo: in mezzo all’area Homos è libero e sfrutta il buco di De Rossi. Anche Cannavaro è lontano, e con lui le solidissime basi di Berlino e dintorni. Vantaggio egiziano, fischi del pub­blico pagante e tanti saluti alla nostalgia. La ca­pocciata che ci ha portato in svantaggio ha a­zionato una reazione così così. Entrano Mon­tolivo (occasione limpida al 73’) e Toni, esco­no Gattuso e Rossi. Iaquinta scheggia la tra­versa nel finale. Ma è 1-0 per l’Egitto che resta in corsa: per l’Italia - a meno di clamorose ri­nascite contro il Brasile - la Confederations Cup è quasi finita.
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