Nella prolusione al Consiglio permanente della Cei il cardinale Angelo Bagnasco (nella foto) ha dedicato una sezione alla “Violenza accattivante delle ideologie”, rimarcando che «se l’umanesimo plenario ha avuto la sua origine nel grembo europeo, e ha ispirato le grandi Carte internazionali, non è detto che trovi ancora in quel ceppo, tagliato dalle sue origini cristiane, la linfa ispiratrice. Se l’occidente vuole corrompere l’umanesimo, sarà l’umanesimo che si allontanerà dall’occidente e troverà – come già succede – altri lidi meno ideologici e più sensati. Il Vangelo è per tutti ma non è incatenato a nessuno, è storico e metastorico. L’erosione sistematica dell’impianto culturale umanistico, usando come grimaldello l’impazzimento dell’individuo con le sue pretese solipsiste, è una espressione triste di quella miseria morale e spirituale di cui parla il Santo Padre». Accanto alle tante ed eclatanti “miserie”, saper cogliere le piccole “nobiltà”. E assieme all’“individualismo solipsistico”, che ancora imperversa, attenzione agli innumerevoli segnali che parlano di comunità e solidarietà. Per Salvatore Natoli il paragrafo della prolusione del cardinale Bagnasco sulla “Violenza accattivante delle ideologie” suscita più domande ulteriori che risposte. Natoli – professore ordinario di Filosofia teoretica presso la facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Milano Bicocca – ha pubblicato da pochi giorni un “piccolo grande” libro, Antropologia degli italiani (La Scuola, pagine 40, euro 5,50), non estraneo ai temi toccati dal presidente della Cei. Se l’Occidente tradisce l’umanesimo plenario, avverte Bagnasco, sarà l’umanesimo ad abbandonare l’Occidente. Per andare dove? «Cina, India, Brasile, Africa? Difficile dirlo, la situazione è complessa e contraddittoria. Pensiamo soltanto all’area del Mediterraneo, alle tante lotte recenti, con aspetti nobili ma anche equivoci, dove la richiesta di democrazia e libertà, tipica della migliore tradizione occidentale, si scontra con strumentalizzazioni e manipolazioni di gruppi che mirano esclusivamente al proprio tornaconto». Quando parla di «miseria morale e spirituale» è però preciso. «Mi spiego. L’Occidente sta invadendo il mondo con la globalizzazione, processo economico che porta con sé anche modelli di pensiero e stili di vita...». Compreso quel tradimento dell’umanesimo plenario? «Difficile definirne gli esiti. Come valutare quell’ibrido di comunismo e capitalismo che si sta affermando in Cina? L’umanesimo, con il suo patrimonio di idee e valori, migra nell’ex Celeste Impero? In Brasile assistiamo effettivamente a un certo avanzamento sociale. In India, dove il sistema delle caste, formalmente abolito, resiste nei fatti, c’è chi lotta sempre più apertamente contro tabù secolari. Il mondo è in movimento, e accanto ad alcuni fenomeni negativi ce ne sono altri molto positivi. Vogliamo chiamarlo umanesimo?» Forse l’Occidente, assieme a tanti frutti negativi emanazione del più grigio individualismo, ha seminato, sia pure involontariamente, semi positivi... Tra quei frutti ci sono pure le «ideologie deformanti» a cui accenna Bagnasco? «Dovremmo chiarire, credo, che cosa si intenda qui per “ideologie”. Quelle classiche ottocentesche sono naufragate: anche se non sembrano del tutto esaurite, la loro forza propulsiva è finita. Se però è un’ideologia quella del libero mercato – “ognuno si arricchisca come meglio gli riesce e come meglio crede” – allora eccola l’ideologia vincente. Con i suoi guasti: se non è misurata ed equilibrata, porta a bolle speculative e disastri che ben conosciamo ». L’“ideologia del mercato” ha come conseguenza l’iperindividualismo di cui parla la prolusione? «La mia sensazione è che anche questa ideologia dominante sia alle corde e abbia il fiato corto. Forse non è facile né immediato coglierne i segnali, ma il bisogno di comunità, e di recupero dei tanti legami perduti, sta crescendo. L’individualismo di massa, votato al consumismo esasperato, si sta a sua volta consumando. Di fronte alla crisi, in molti si trovano “scoperti”; e così rinascono forme di solidarietà e soccorso, di cooperazione. La Chiesa stessa da tempo ha colto questi segnali, penso ad esempio ai fondi di solidarietà... Avverto, in generale, un nuovo bisogno di comunità». Il panorama non è dunque così cupo? «Sono convinto che ci sia anche una crescita positiva, virtuosa, della libertà e della soggettività, che si coniuga con la responsabilità nei confronti non solo delle proprie azioni personali ma anche della vita degli altri. Cresce il bisogno di una società serena. E a me sembra che a ciò non sia estraneo il magistero di papa Francesco. Il suo mi sembra un grande pontificato sociale, che nei gesti e nelle parole ripropone la grande stagione della Mater et magistra e della Pacem in terris».