sabato 23 ottobre 2010
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«Posso affermare di aver avuto con Lévi-Strauss un buon dialogo. So per certo che i miei studi lo interessavano. Il filosofo Jean Guitton mi disse un giorno che proprio Lévi-Strauss mi aveva proposto per un premio all’Académie française. Eravamo nel 1986, il libro premiato fu Il cammino del sacro nella storia per il quale mi venne assegnato il premio Dumas-Millier». Non c’è civetteria nelle parole di Julien Ries, il grande antropologo belga, mentre rievoca il suo rapporto con l’autore di Tristi tropici.Proprio il confronto intellettuale con l’antropologo strutturalista, di cui il 30 ottobre ricorre il primo anniversario della morte, intesse il colloquio con Ries, instancabile ricercatore, a novant’anni suonati, delle tracce di Dio nella storia degli uomini. La sua Opera omnia è in corso di pubblicazione presso la casa editrice Jaca Book. In diversi testi della sua antropologia religiosa Julien Ries, docente emerito di Storia delle religioni all’Università Cattolica di Lovanio, fondatore del centro di Storia delle religioni nel medesimo ateneo, affronta e discute il pensiero di Lévi-Strauss. Come nel saggio Simbolo. Le costanti del sacro, laddove scrive: «Un’ermeneutica riduzionista impregna tutta l’opera di Claude Lévi-Strauss. Ai suoi occhi, il mito non veicola alcun messaggio, sicché l’ermeneutica si limita ad essere un sistema di relazione». Alla prospettiva del defunto antropologo Ries contrappone l’ermeneutica "instaurativa" di Gaston Bachelard e Paul Ricoeur, che offre «al simbolo tutto il suo spazio e la pienezza delle sue funzioni».Professor Ries, quale il suo giudizio sull’opera di Lévi-Strauss?«Egli era un antropologo marxista, o almeno così si presentava lui. Era uno studioso della cultura umana completamente al di fuori dall’ottica cristiana. Nella sua opera principale, Antropologia strutturale, offre una visione dell’uomo come soggetto che ha un cervello strutturato e determinato. E tale predeterminazione crea in Lévi-Strauss un gran pessimismo. Del resto il suo testo più celebre si intitola appunto Tristi tropici, in cui manifesta il suo pessimismo verso l’uomo e la società umana».Perché tale pessimismo? «Perché a suo giudizio l’umanità ha raggiunto il suo culmine di sviluppo nell’epoca del Neolitico, cioè in uno stadio "primitivo". E quindi l’evoluzione successiva della storia umana ai suoi occhi rappresenta una caduta. A parere di Lévi-Strauss, la struttura mortale dell’uomo spiega la sua evoluzione "negativa". Il suo pessimismo gli ha impedito però di analizzare e valorizzare l’espressione religiosa, artistica e culturale delle grandi civiltà successive, ad esempio quelle egiziane, mesopotamiche, quella biblica e quella greco-romana».Quale la risposta "migliore" a tale posizione strutturalista e pessimista?«Alla fine della sua vita Lévi-Strauss ha avuto oppositori e sostenitori "partigiani" delle sue teorie. Uno dei critici fu il filosofo Paul Ricoeur, il quale – in un articolo sulla rivista "Esprit" – si rivolgeva a lui con queste parole: "Lei è affascinante ma inquietante". Proprio le conclusioni del pensiero di Lévi-Strauss sono inquietanti. Nelle ultime cinquanta pagine di Tristi tropici egli fa la sintesi del suo pensiero. E si domanda: "Ma nei miti dell’uomo vi è un messaggio?" E risponde così (cito a memoria): "No, nessun messaggio. L’unica conclusione che si può avere è che il mito è la realizzazione dell’attività della corteccia celebrale del cervello umano". Ma il mito è ben altro, esso è un messaggio per l’uomo. L’uomo attraverso il mito esprime una certa visione del mondo e dell’universo. Mi spiego con un esempio». Dica.«Sui muri delle grotte di Lascaux, in Francia, vi sono dei dipinti antichissimi di epoca preistorica. Negli stessi anfratti vi è la testimonianza che vi passava e sostava della gente, ragazzini di dodici-quattordici anni. Cosa significa questo? Che di fronte a queste pitture rupestri vi erano gruppi di giovani che arrivavano per riti di iniziazione, momenti importanti che determinavano il loro ingresso nel clan. Dunque, quelle immagini mitiche dipinte sui muri venivano spiegate a questi giovani da parte di qualcuno che ne conosceva il significato. Quindi quei messaggi non erano privi di senso, ma trasmettevano qualcosa».Come superare la visione "minimalista" di Lévi Strauss?«Gli va riconosciuto il merito di aver cercato di proporre un’antropologia basata sui studi sulle tribù primitive dell’America latina, di cui ha studiato la vita quotidiana. La sua antropologia però non dura nel tempo e già oggi perde di attualità. Proprio perché è fallito il suo tentativo di spiegare l’antropologia attraverso il materialismo e lo strutturalismo. In realtà l’uomo cerca sempre l’homo religiosus che è in lui, che vive alla scoperta del sacro a partire dal messaggio del mito».
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