mercoledì 4 novembre 2009
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Edward Luttwak, lo stratega militare di origine romena che ha fatto da consulente al Pentagono e al consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, è da almeno trent’anni convinto che le grandi potenze devono tenersi fuori dai conflitti regionali – a meno che non rappresentino un interesse nazionale chiave. Analogamente pericoloso per i Paesi avanzati, come gli Stati Uniti, è farsi trascinare nella lotta di guerriglia e nelle operazioni di controinsorgenza. Iraq e Afghanistan a suo dire non fanno eccezione. Delle sue teorie militari Luttwak ha trovato conferma nella storia. Se nella Grande strategia dell’Impero romano Luttwak aveva visto in Roma un esempio di forza imponente usata come mezzo di dissuasione, in La grande strategia dell’Impero bizantino, in uscita da Rizzoli (pagine 500, euro 25,00), ha identificato nella Costantinopoli imperiale la lezione di un impero che sa gestire le sue risorse, tenere a bada i nemici e preservare la sua esistenza senza essere costantemente in guerra. Una strategia che potrebbe insegnare molto ai moderni generali americani. Come ha fatto Bisanzio a sopravvivere per quasi mille anni ai suoi predecessori d’Occidente?«L’Impero bizantino ha vissuto più a lungo di qualsiasi altra potenza, dinastia, entità storica, grazie a un fortissimo senso di identità. I Bizantini erano orgogliosamente cristiani. Si consideravano inoltre portatori e difensori della cultura classica ellenica, che dava loro rassicurazione sull’importanza della loro civiltà. E fino alla fine si sono sentiti romani, definendosi romaioi. Questa triplice identità dava loro qualcosa di tangibile per cui combattere. Un altro motivo è la cultura strategica di Bisanzio. Al contrario dei Romani, i Bizantini ne hanno fatto un’arte non solo militare da sviluppare, discutere, analizzare, racchiudere in libri. Era estremamente sofisticata».Quale era il punto forte di questa strategia?«L’impiego minimo della forza e massimo del cervello per gestire i problemi di sicurezza senza farsi coinvolgere in guerre potenzialmente rovinose per l’impero».È una strategia simile a quello che i diplomatici americani chiamano “soft power”, contrapposto all’aggressività della guerra preventiva?«Soft power ormai è uno slogan politico. A Bisanzio invece capivano quali fossero le priorità dell’impero. Per fare un parallelo contemporaneo, non avrebbero impiegato decine di migliaia di uomini per conquistare una provincia come Anbar in Iraq o di Peshawar in Aghanistan – posti inutili dove non ci sono interessi da difendere. Zone turbolente, certo, che i Bizantini sorvegliavano e attaccavano solo quando rappresentavano una minaccia. Ma lo facevano con dei raid veloci e leggeri, riservando il grosso delle loro forze per combattere i grandi poteri: Unni, Avari, Mongoli, l’Impero persiano. Il principio guida di Bisanzio era che l’impero è eterno, mentre i suoi nemici vanno e vengono. Di conseguenza lo sforzo principale deve essere rivolto alla sua preservazione. Fondamentale era prevenire le minacce e contenerle, prima che attaccassero frontalmente l’impero. Un’arma fondamentale era la capacità di identificare i nemici dei propri nemici ed usarli contro chi minacciava Bisanzio».Sembra di capire che Bisanzio avesse una complessa ed efficiente rete di agenti segreti e diplomatici…«Bisanzio è la prima potenza della storia che ci ha lasciato la prove dell’esistenza di una struttura di legati che agivano sia come diplomatici sia come 007. Le prime tracce scritte dell’esistenza di popoli come i croati, i serbi e gli ungheresi ci viene proprio dai rapporti che gli agenti bizantini inviavano a Costantinopoli. Si capisce quanta importanza l’impero attribuisse alla conoscenza del nemico. Lo studiavano in maniera obiettiva e attenta. Non solo dal punto di vista militare, ma soprattutto per decifrare la sua cultura e capire come lo si poteva manipolare, persuadere, convertire. Era un’attività incessante e si sposava all’attività diplomatica. Prima capivano i popoli da cui erano circondati, poi li contattavano, consapevoli che il nemico di oggi può essere l’alleato di domani».Non cercavano a tutti i costi la supremazia militare, dunque, come facevano i Romani?«La strategia dell’Impero romano cambiò nel tempo, ma rimase ferma l’idea di dover debellare completamente il nemico per poterlo controllare. Bisanzio aveva bisogno di un approccio diverso perché il mondo era cambiato ed era molto più vulnerabile di Roma: circondata da potenziali minacce da tutti i lati, non avevano risorse per debellarle tutte. La loro priorità non era vincere una guerra ma preservare una civiltà». Oggi il termine "bizantino" è usato per indicare una burocrazia complessa e inefficiente. Da dove viene questa reputazione?«"Bizantino" è un termine coniato nel XVIII secolo, dagli illuministi. Ma sono stati gli scrittori cristiani dell’Occidente, cattolici, in polemica con gli scismatici ortodossi dell’Est, a dare per primi una connotazione negativa all’Impero bizantino. L’illuminismo poi ha confuso la religiosità bizantina con un oscurantismo che non esisteva. All’ombra di Costantinopoli non ci sono mai stati massacri di religione. I suoi regnanti sono stati sempre rispettosi delle diversità».Bisanzio dovette anche affrontare un’ondata di jihad. Come la respinsero?«Quando l’islam è nato, nel VII secolo, ha cominciato subito a espandersi e ha conquistato le province bizantine in Egitto e in Sira. Ma lì Costantinopoli l’ha bloccato. Ci sono riusciti ancora una volta grazie alla loro identità, che era più forte di quella di milioni di arabi infiammati dall’islam. L’identità bizantina era incorruttibile, mentre i generali musulmani arabi potevano essere convinti a suon di monete d’oro a deporre le armi. La strategia bizantina inoltre era superiore. Costantinopoli è stata assediata due volte, ma l’ambizione del califfato omayyade prima e fatimide dopo di conquistarla non si è mai realizzata. Furono i crociati a saccheggiare Costantinopoli. Quello che i turchi hanno preso più tardi era ormai solo la parvenza di un impero».
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