giovedì 24 marzo 2016
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La vita inizia con l’essere sperimentata come un caos, per il quale non esistono nomi possibili. Un’esperienza primordiale che ritornerà in altri momenti della nostra esistenza. Non c’è linguaggio in grado di dissipare l’oscuro sentimento di valanga e pericolo che allora invade il corpo, sperimentato come estraneo. Lacan parla di questa fase iniziale, nella quale ci vediamo essenzialmente come un disperso magma originario, come della fase del «corpo in frammenti». Solo in seguito ci scopriremo come unità e ci riconosceremo come soggetti. In questa transizione facciamo una scoperta essenziale, che le fa da volano: non si dà possibilità di vita umana senza l’orizzonte dell’altro, senza il contatto, la relazione, senza l’instaurazione di un circuito di scambi. Pensiamo al bambino. Quando si sente abbandonato nel buio della notte non gli rimane che il grido. E il grido è la forma fragile e intensa con cui la sua vita parte alla ricerca di altre vite che possano soccorrerla. Il grido è un appello, una supplica, una richiesta, una sorta di preghiera: le corde della voce partono, nel cuore della notte, in cerca di un attracco. Pensiamo al bambino. In quell’oscurità che lo assedia non può vedere né parlare né spiegarsi. Ha una percezione confusa del suo proprio corpo. Ha perduto il calore della placenta che lo proteggeva nello stadio intrauterino e in questo momento è separato dall’abbraccio materno. Si sente gettato fuori, esposto alla vita, che non sa controllare. Allora grida. Impareremo poi che, per quanto ciò possa costare, anche noi nasciamo in questo grido che vuole contrastare l’abbandono, questo grido che sarà soccorso dall’amore degli altri che gli danno un significato, ossia trasformandolo in chiamata, in desiderio di presenza, in irrecusabile appello. Uno dei quadri espressionisti più iconici è L’urlo di Edvard Munch. Il quadro venne esposto per la prima volta nel 1902, inserito in un ciclo di sei tele che non a caso s’intitolava Studio per una serie evocativa chiamata Amore. In effetti noi udiremo il grido solo se in articolazione con la necessità di amore che ci abita fino alla fine. Nel suo diario, Munch descrive la situazione che diede origine a quell’immagine: «Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò – il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. – Mi fermai, mi appoggiai stanco morto a una palizzata. – Sul fiordo nero-azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. – I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura – e sentii un urlo infinito pervadere la natura. Poi ho dipinto questo quadro. Ho dipinto le nubi con vero sangue. I colori gridavano». Ora, se quel quadro è divenuto così emblematico, è perché va al di là della rappresentazione del mero terrore individuale. In verità schiude a tutti noi, illuminandolo, il senso tragico dell’esistenza. In quell’immagine sono condensati tutti gli urli umani, quelli emessi così come quelli soffocati. Schopenauer individuava il limite delle possibilità espressive dell’arte esattamente nella sua incapacità di far udire il grido. È appunto il contrario che Edvard Munch s’impegna a dimostrare. In qualunque campo ci muoviamo, è fondamentale preservare la possibilità di ascoltare il grido, il nostro stesso grido e quello altrui (l’uno e l’altro così difficili da accogliere). Nei Vangeli, per esempio, si dice che Gesù morì emettendo un duplice grido. Il primo, liberando le parole: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (oppure «Dio mio, Dio mio, a cosa mi hai abbandonato?», come preferiscono alcune traduzioni). Ma, una volta proferite tutte le parole sulla croce, gli evangelisti Marco e Matteo raccontano che Gesù dà un altro forte grido. E in quello stesso momento il velo del tempio si squarciò in due, consentendo un altro regime di rivelazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’opera faceva parte di un ciclo di sei dedicate a questo sentimento. «Poi ho sentito la natura che gridava e ho dipinto questo quadro e le nubi con vero sangue. I colori gridavano». Una scena che evoca l’angoscia del Golgota e le parole di Cristo rivolte al Padre
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