mercoledì 9 settembre 2009
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Quando scompare un personaggio che la no­torietà ha reso familiare, tutti si sentono un po’ più soli. E sta accadendo per la im­provvisa notizia della morte di Mike Bon­giorno, appena visto sul piccolo schermo in un suo ironico spot pubbli­citario con Fiorello, e po­co fa nel taxi- quiz di SkyUno e nelle interviste nelle quali parlava entu­siasta del «suo» Riskytutto che stava per avviarsi… Il lavoro, appunto. Perché nelle tante conferenze stampa e presentazioni nelle quali Buongiorno in­contrava i giornalisti emergeva immediato il suo amore per il «lavoro», per quanto stava via via in­traprendendo nella sua lunga carriera televisiva: aveva un carattere spinoso, questo sì, non perde­va tempo e non accettava che lo si perdesse, ma aveva anche, e lo dimostrava, un grande rispetto per quello che stava proponendo e facendo, un rispetto per il lavoro che forse ora non è più di moda, in un’epoca in cui la parola chiave è «eva­sione », ma che Mike sapeva applicare anche allo sport e al divertimento. Era, a parte gli scatti di insofferenza con i quali di­mostrava la sua vitalità e il suo entusiasmo, uno che al lavoro ci credeva davvero, e non ha mai so­gnato la pensione come rifugio. Il suo rifugio era l’energia con la quale, malgrado gli anni, proget­tava e studiava per la tv che era il suo mondo. Il rimpianto per un distacco brusco da Mediaset, del quale si era lamentato con spontaneità disar­mante, era anche una dichiarazione di impegno che non è mai venuta meno: perché i suoi quiz, con quali ha svegliato un’Italia sonnolenta, erano affermazioni sincere di stima per una cultura non da sbandierare come vanto, ma da acquisire a da partecipare come ricchezza vera. Forse una cul­tura- erudizione, in qualche misura: ma una cul­tura fatta di studio e di applicazione e di personale passione, fosse per la musica o la gastronomia o le più varie specialità. Da non confondere, in­somma, con le trappole a premi attuali con le qua­li si esalta la fortuna come casualità da corteggia­re attraverso esibizioni-lotteria spesso imbaraz­zanti. Ha fatto onore allo studio e al sapere rispettan­dolo con personale apprezzamento, proponen- dosi con una modestia che favoriva le sue tanto citate « gaffes » , espressione immediata di una spontaneità che conquistava senza sussiego e ar­rivava a tutti, con una familiarità semplice e di­retta. Così che anche oggi, dopo mezzo secolo e più di attività, Buongiorno progettava e studiava il modo di restare insieme al suo pubblico, alla gente di ogni età e di ogni ap­partenenza che lo stimava e lo apprezzava comprendendo l’onestà del suo agire e la se­rietà che animava le sue pro­poste pur intese come «gioco». Ha lavorato con impegno, ha creduto in quello che faceva si­curo di fare cosa giusta: epitaf­fio forse banale, sull’onda del­l’emozione repentina, che tan­ti suoi spettatori certamente condividono, al di là di soggettive valutazioni. E mentre salutiamo con commozione un vecchio signore dello schermo dallo spirito sempre giovane e il suo manifesto a­more per la vita, ricordiamo la sua voce che si in­teneriva, alla fine delle conferenze stampa, quan­do qualcuno gli chiedeva dei figli, che raccontava nelle varie tappe della loro crescita, felice delle lo­ro conquiste: parlando dei quali gli brillavano gli occhi e gli si ammorbidiva il piglio brusco, con u­na tenerezza in cui si specchiava non più il pro­fessionista arrivato ma l’uomo, ricco di affetti sin­ceri coltivati con amore. Quello degli spettatori della tv è un mondo mi­sterioso e vario, che invano i dati auditel cercano di decifrare. Ma certamente ieri, apprendendo del­l’improvviso addio di «Mike», come tutti lo cono­scevano, molti, moltissimi avranno rivolto al vec­chio amico un saluto affettuoso e partecipe, ve­nato già di nostalgia per quel tempo di semplicità intesa come ricchezza. E il suo celebre «Allegria!» sarà tornato alla mente di tanti, nell’ultimo inti­mo saluto, come coraggioso augurio di bene.
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