martedì 6 gennaio 2015
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Ci siamo andati per vedere com’era. Era una grande sfida e un grande sogno. Perché l’umanità meritava «questa conquista che è anche un’opportunità per la collaborazione pacifica» tra i popoli, disse J.F. Kennedy quando nel 1961 annunciò che gli Stati Uniti avrebbero portato l’uomo sulla Luna entro la fine del decennio. Tra il luglio 1969 e il dicembre 1972 sette volte gli astronauti statunitensi vi sbarcarono e a decine si susseguirono le missioni esplorative prive di equipaggio. Poi, dopo tanto impegno, l’interesse per la conquista del nostro satellite svanì e l’attenzione si appuntò sulle missioni spaziali congiunte tra Stati Uniti e Unione Sovietica, sulla costruzione dello Space Lab, sullo sviluppo del traghetto spaziale (lo "shuttle") e infine sulla Stazione spaziale internazionale (Iss), mentre parve chiaro che il prossimo grande passo sarebbe stato lo sbarco su Marte.Ma da un po’ di tempo, sia l’Esa che la Nasa hanno preso in considerazione di tornare sulla Luna. Come ha dichiarato l’ex astronauta canadese Chris Hadfield l’ottobre scorso, «c’è il desiderio di andare su Marte, ma la tecnologia di cui disponiamo non è tale da rendere plausibile e sicura questa missione... La prossima destinazione dev’essere la Luna: sta a soli tre giorni di distanza». Per andare su Marte ci vuole oltre un anno. In un certo senso, la Luna è per l’umanità il punto di partenza privilegiato per procedere oltre: non ha atmosfera e così dalla sua superficie si può osservare meglio la profondità dell’universo; il suo sottosuolo è ricco di minerali estraibili; pur pochissima, ha dell’acqua; la sua gravità è circa un sesto di quella terrestre e per conseguenza partire da lì richiede una spinta minore di quella necessaria per sfuggire alla gravità terrestre. Se l’idea attualmente in circolazione è che nel giro di trent’anni si potrebbe arrivare su Marte, sulla Luna si desidera stabilire entro pochi anni, per la Nasa entro il 2020, una stazione abitata: la prima, vera e propria colonia umana fuori dalla Terra.Così da qualche mese circolano i progetti architettonici di una base permanente. Si è molto parlato di un primo progetto compiuto dal noto studio londinese Foster & Partners, capitanato dall’archistar Norman Foster, per la European space agency (Esa). Prevede un lungo cilindro da adagiare sul suolo lunare. Da questo emergerà un volume gonfiabile che sarà coperto da una roccia artificiale prodotta da una stampante in 3 dimensioni robotizzata, che impasterà la regolite (la polvere lunare) con un legante ricavandone roccia sintetica.E qui giunge la sorpresa. La stampante in 3-d e la proposta di usarla per edificare la prima base permanente sulla Luna è frutto dell’inventiva di Enrico Dini, ingegnere toscano che con la sua azienda di stampanti in 3-d nel 2009 vinse un concorso dell’Esa. «Vicino al lago di Bolsena – racconta Dini – trovai una polvere di roccia simile alla regolite e così ho potuto realizzare un modello di quella che potrà essere la prima edificazione sulla Luna». La stampante in 3-d robotizzata segue automaticamente il progetto e con un braccio meccanico stende strato su strato il cemento che compone al proprio interno, così l’edificio si realizza senza intervento diretto dell’uomo. La sua forma è di tipo organico, un po’ come un grande formicaio: il suo scopo è proteggere gli abitanti dal vento solare e dai meteoriti che possono piovere sulla superficie lunare senza essere bruciati dall’attrito con l’aria, come avviene sulla Terra. Oltre, naturalmente a contenere al proprio interno un’atmosfera e una pressione simile a quella terrestre, che insieme con la pur bassa, ma esistente gravità lunare, consentirà di abitare sulla Luna con un grado di confortevolezza superiore a quello della Stazione orbitante, dove gli spazi sono angusti e la gravità assente. Un’altra azienda toscana è in grado di fornire le parti meccaniche necessarie per portare a termine il progetto: con questa, col supporto scientifico della Scuola di Sant’Anna e con Foster & Partners, Enrico Dini ha costituito il consorzio che lavora con l’Esa. Il tubo che funge da origine dell’insieme contiene il portale stagno che consentirà il passaggio dall’atmosfera lunare all’interno della base, con una camera di compensazione simile a quella di cui dispongono i sommergibili. Oltre alle ricerche scientifiche e tecnologiche, il lavoro consisterà probabilmente nell’assemblare i pezzi di navi spaziali destinate a partire dalla Luna.Col progetto dell’Esa c’è anche un progetto della Nasa, in gran parte simile: «Vi lavora Behrock Khoshnevis - spiega Dini -. Anche lui si occupa di stampanti in 3d e ha pensato a un progetto simile al mio». In questa nuova corsa alla Luna c’è una specie di competizione non dichiarata tra Europa e Usa, ma si svolge su base collaborativa: ci incontriamo e ci parliamo, spiega Dini. Come sosteneva Kennedy, nel cosmo l’umanità si troverà a collaborare, al di là dei confini, delle lingue, delle razze.
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