martedì 7 marzo 2017
Il fascino dell'illuminismo? In un testo postumo le avvertenze del filosofo
Il filosofo Todorov, recentemente scomparso

Il filosofo Todorov, recentemente scomparso

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A un mese dalla morte di Tzvetan Todorov, pubblichiamo un brano della lettera- prefazione che lo stesso Todorov aveva scritto per un saggio dedicato alla propria opera, “ La firma umana” di Giulia Cosio ( Jouvence, pagine 266, euro 20,00). Il libro, che segue l’evoluzione del pensatore francobulgaro nella prospettiva del rapporto con l’altro, contiene inoltre una lunga intervista concessa da Todorov alla giovane studiosa italiana. Le opere principali di Todorov ( Sofia, 1° marzo 1939 – Parigi, 7 febbraio 2017), da “ Goya” a “Il caso Rembrandt”, da “ Lo spirito dell’Illuminismo“ a “ La letteratura in pericolo” sono pubblicate in Italia da Garzanti.

Per molto tempo ho soggiaciuto al fascino del pensiero illuminista, di cui non mi sono mai nascosto la complessità, la varietà, le contraddizioni e le insufficienze, ma del quale approvavo senza riserve il progetto globale. Ragion per cui, quando mi è stato proposto, ho accettato di essere il commissario di un’esposizione che si teneva a Parigi sul pensiero dei Lumi e sulla sopravvivenza del loro spirito ai giorni nostri, componendo per l’evento un piccolo saggio dal titolo Lo spirito dell’illuminismo. Nel libro riassumevo le principali scelte dei Lumi e spiegavo anche i miei diversi motivi di reticenza ad accettare integralmente il loro pensiero; reticenza che non va però intesa come un difetto di forza d’animo ma piuttosto come un tentativo di andare ancora più in là di ciò che loro stessi avevano detto e fatto.

Oggi mi pare invece che i Lumi non siano senza ombre. L’influenza più notevole su di me da questo punto di vista è stato il lavoro che mi ha impegnato sui quadri di Goya, un uomo maturato alla corte spagnola in un’atmosfera di ammirazione per il pensiero illuminista condivisa da aristocratici, uomini di Stato, dallo stesso sovrano, tutti avidi lettori di trattati e pamphlets. Goya, che peraltro ha spesso illustrato la sua adesione a questi ideali attraverso incisioni e disegni, non si è accontentato e ha voluto riflettere con la sua testa, tanto più che la storia non si è fermata a questi gabinetti di ministri illuminati ma ha preso il volto di Napoleone e delle sue truppe che hanno invaso la Spagna. Ne è sorta una cruenta guerra civile insieme ad una peculiare ripartizione delle posizioni ideologiche: l’armata dei conquistatori francesi era animata dagli ideali illuministi, i resistenti spagnoli erano spesso dei retrogradi sostenitori di un oscurantismo profondamente inviso a Goya. La reazione di Goya è stata quella di non nascondersi nulla e di vedere, dire, o piuttosto disegnare il suo orrore di fronte ad una violenza che nulla giustificava, né l’insegnamento dei Lumi né tantomeno quello di Cristo.

Una tale lucidità di giudizio – tanto più in questo contesto e su un movimento di idee a lui vicino – mi ha colpito per la sua onestà ed esattezza nello svelare quello che negli illuministi pareva anche a me un difetto congenito tra le loro svariate qualità, e cioè la convinzione che, poste le migliori condizioni di partenza, gli esseri umani potessero progredire all’infinito. La preistoria di questo pensiero si ritrova già nel Libro Santo del cristianesimo e del giudaismo ed è quindi connaturato al pensiero monoteista. Se il pensiero pagano tratteggia un universo increato che vede un giorno l’apparizione delle divinità, il pensiero monoteista opera il grande scarto di credere in un universo creato da Dio, e Dio non è solamente un essere al di sopra degli altri, è anche il signore e creatore del mondo abitato. Ora, noi che studiamo la parola divina non tanto come rivelazione ma come frutto di un pensiero umano, possiamo vedere in questa immagine di Dio l’espressione di un ideale di umanità trasversale a molte epoche: un ideale che vuole che tutto sia alla portata dell’uomo, detto anche prometeismo oppure, in materia di dottrine religiose, pelagianesimo. In un celebre dibattito a colpi di libri con sant’Agostino Pelagio aveva criticato la dottrina del peccato originale ed affermato la possibilità per gli esseri umani di attingere alla perfezione divina: se Dio aveva creato l’uomo a sua immagine, l’uomo per primo poteva legittimamente tendere ad un’assimilazione alla divinità. Il peccato originale aggiunto da sant’Agostino alla dottrina cristiana e la distinzione tra la città di Dio e la città degli uomini veicolava al contrario l’idea che l’uomo non potesse eguagliare Dio. Il secolo dei Lumi diffonde l’immagine di un mondo senza intervento divino e recupera in qualche modo l’ambizione di Pelagio: inizia quella reazione radicale per cui gli esseri umani, collettivamente o individualmente, cominciano a sentirsi demiurghi, creatori d’universi; sono gli uomini ad occupare un posto divinizzato e ciò apre la via alle rivoluzioni ma anche ai regimi totalitari. Tutto questo è particolarmente visibile nelle dittature del XX secolo, ma anche nei sistemi più pacifici questa idea di miglioramento infinito della specie umana persiste fino ai giorni nostri, insieme alla tendenza volta a minimizzare la forza d’attrito di quella materia bruta, a cui anche noi apparteniamo, che non può essere corretta e trasformata all’infinito.

Questa convinzione, questa fede fortissima che tutto sia possibile grazie ai giusti mezzi – “mezzi” in ogni senso del termine – si è manifestata in maniera distruttiva e minaccia la specie umana: realizzare l’utopia in terra richiede mezzi violenti; credere nella nostra onnipotenza ci condanna alla violenza. Presentando il pensiero dei Lumi, trovo quindi che bisognerebbe sempre aggiungere una precauzione e ricordare che nell’illuminismo c’è un’assenza di misura per cui il pericolo di hybris è sempre in agguato e anzi sotteso allo stesso progetto. Il un nuovo ritocco che vorrei aggiungere ai precedenti è di non abbozzare mai un ritratto dei Lumi senza la loro ombra. Nel loro pensiero non c’è sempre la consapevolezza del lato tragico dell’esistenza legato alla stessa condizione umana e alla sua finitezza; allo stesso tempo, e specularmente a questa omissione, c’è un infinito che si apre di fronte ad una coscienza che si crede ormai illimitata. Se quel senso del tragico di cui parlo ho avuto modo di rilevarlo nel pensiero umanista e di esprimerlo ai miei lettori, riguardo ai Lumi ho il rammarico di non essere stato abbastanza vigile e, nella gioia di condividere molte delle loro idee, di non aver vegliato sulla loro dismisura.

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