martedì 6 marzo 2018
Nelle culture del mondo luminoso e numinoso sono strettamente apparentati. Nel Cristianesimo occidentale sacro e reale si incontrano proprio nello splendore del vero
L’abbazia di Mont-Saint-Michel, in Francia (Jean-Marc Charles Agf)

L’abbazia di Mont-Saint-Michel, in Francia (Jean-Marc Charles Agf)

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Secondo il libro del Qohelet «dolce è la luce e agli occhi piace vedere il sole». Cominciando da questo versetto biblico, il convegno di studi “Dolce è la luce. La luce, esperienza di Dio nella storia”, organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana di Roma in collaborazione con la Fondazione Culturale San Fedele di Milano, vuole delineare, senza alcuna pretesa di esaustività, in un’interdisciplinarietà tra arte, architettura, filosofia, teologia e liturgia, una “storia” della luce, fondamentale per comprendere la nostra contemporanea visione del mondo. Noi siamo e viviamo nella luce, tuttavia risulta difficile rispondere alla domanda: “Che cos’è la luce?”. Si può ripetere quanto si afferma dal punto di vista scientifico, per cui la luce sarebbe uno sciame di fotoni, le proprietà dei quali vanno analizzate sotto gli aspetti sia ondulatori che corpuscolari. Certo, la luce, concreta e intangibile, permette di vedere la realtà nella sua singolarità, creando relazioni, dando profondità ai volumi, ma soprattutto è all’origine dell’esperienza del sacro, del divino che illumina e trasfigura la storia dell’uomo. È sufficiente pensare che la radice indoeuropea *diu – da cui viene il latino divus e, successivamente, “dio” – significa “luce”. In origine “luminoso” indica, infatti, la manifestazione degli dèi del cielo che si rivelano sia con la luce del giorno, sia con quella del lampo (come più tardi i romani Iuppiter Lucetius e Iuppiter Fulgurator). La manifesta- zione di questa trascendenza è l’esperienza del sacro, in cui il divino, il numinoso – dal termine numen (divinità) – appare come un essere luminoso celeste.

Non solo. In una “società liquida”, come direbbe il celebre sociologo Zygmunt Bauman, in cui sempre più a stento si compiono scelte precise e responsabili in vista di un progetto condiviso, il convegno intende diventare il luogo per una riflessione sul senso più profondo di cosa voglia dire oggi “fare luce” sulla propria esperienza di vita, sulle immagini di Dio e sulle sue rappresentazioni, sulle modalità con le quali l’uomo interpreta il trascendente e l’assoluto. In una costante dialettica tra vita e morte, tra gloria e dramma, “vedere” la luce significa allora dare un orientamento al cammino dell’uomo, discernendo il bene dal male, facendo affiorare la presenza luminosa di Dio al cuore della storia. Il convegno indaga la luce dall’età paleocristiana e bizantina al Rinascimento, dall’età barocca fino all’età contemporanea. La sua “storia” è infatti fondamentale per comprendere l’evoluzione dell’“immagine” nell’Occidente, che si fonda sulla prospettiva centrale, senza la quale sarebbe impossibile comprendere l’esperienza galileiana che pone le basi per l’epistemologia moderna e per gli sviluppi della fotografia e del cinema. Non dimentichiamo come nel campo della ricerca artistica, la scoperta galileiana del cannocchiale, occhio artificiale che permette di vedere in modo inedito il mondo che ci circonda e il cielo sopra di noi, si porrà al centro del realismo occidentale. Portando alle estreme conseguenze le “invenzioni” portate avanti da Brunelleschi, per giungere alle ricerche del “vero” di Caravaggio e di Vermeer, l’innovazione tecnologica dello strumento ottico determinerà infatti fino a oggi la storia dell’immagine, il nostro stesso modo di vedere il reale e di esplorare scientificamente il mondo. In un progressivo passaggio nei secoli da una luce teologica a una luce fisica, poi indagata dagli Impressionisti francesi, questo racconto diventerà riconoscimento della bellezza del mondo e di Dio, interrogazione sul senso più profondo del mistero della vita.

Ancora oggi, malgrado le ferite e le lacerazioni della contemporaneità, nonostante un progressivo processo di secolarizzazione che allontana la presenza di Dio dal nostro mondo, siamo chiamati a riconoscere le tracce della luce nella fiducia nell’uomo, nei suoi volti infiniti in cui si rivela la bellezza di Dio, perché il quotidiano sia continuamente generato e ricompreso alla luce della grazia. Sotto questa luce, ogni aspetto della realtà, anche la più drammatica e violenta, può così essere salvaguardato e restituito a quella dignità e a quella libertà che nasce dall’essere posti alla luce della creazione. È quello sguardo luminoso, che pone ogni realtà umana sotto lo sguardo di Dio, della sua misericordia, del suo perdono. In questo senso, quale luce è messa in scena oggi nella rappresentazione del divino?

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