mercoledì 23 maggio 2018
A Milano la mostra che racconta i tesori dei Papi con lo sguardo inedito di nove artisti internazionali, da Parr ad Armstrong, da Biasiucci a Siragusa. Barbara Jatta: «Dialogo fra passato e presente»
Spazio e Materia”, 2015. Galleria delle Statue (Massimo Siragusa © Governatorato SCV - Direzione dei Musei)

Spazio e Materia”, 2015. Galleria delle Statue (Massimo Siragusa © Governatorato SCV - Direzione dei Musei) - massimosiragusa

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Una dissolvenza, un’ombra. Una forma eterea che affascina, incuriosisce e alla fine incanta. Come una musa. È la figura di Eva, tratta dal Peccato originale di Michelangelo nella Cappella Sistina, e rielaborata con raffinata sensibilità dal fotografo Bill Armstrong, l’immagine-manifesto della mostra In piena luce che resterà aperta fino all’1 luglio a Palazzo Reale, in piazza Duomo a Milano. Nove grandi fotografi internazionali interpretano i Musei Vaticani. Con il canadese Armstrong, ci sono il tedesco Peter Bialobrzeski, il francese Alain Fleischer, la giapponese Rinko Kawauchi, il britannico Martin Parr, e poi gli italiani Antonio Biasiucci, Francesco Jodice, Mimmo Jodice, Massimo Siragusa. Fotografi dalle sensibilità diverse che restituiscono la loro visione unica, per rappresentare e narrare la preziosa unicità, classica e contemporanea, di questo luogo dove si incontrano arte e spirito, bellezza e sacralità. L’obiettivo? «Riuscire a mantenere attivo e fertile il dialogo tra i capolavori del passato e il presente, tra la tradizione e la contemporaneità, tra gli artisti del passato e quelli di oggi», spiega il direttore dei Musei Vaticani, Barbara Jatta nell’anticipare il senso di questo suggestivo percorso in cui si possono ammirare le 200 opere del primo fondo di fotografia contemporanea del polo museale fra i più simbolici e visitati al mondo. Artisti del presente, e della forma espressiva che più di tutte oggi si distingue per la capacità e la forza del racconto, come la fotografia, si misurano con la grande bellezza senza tempo, che resiste ai secoli. «Uno dei modi migliori per un museo di dimostrare la propria vitalità è quello di organizzare la nascita di una nuova collezione. Un’operazione ambiziosa soprattutto per il “Museo dei Musei”, come sono i Musei del Papa, che nel corso dei secoli della loro storia più volte si sono confrontati con ampliamenti e aggiunte di nuove collezioni – continua Jatta – . Farlo oggi, all’interno di una struttura esistente e in continuo movimento, richiede al contempo ponderazione e sensibilità, consapevolezza dell’esistente e capacità di guardare nel futuro. Il progetto In piena luce è nato proprio con questo intento».

La nuova collezione viene presentata ora al pubblico nella mostra curata da Micol Forti e Alessandra Mauro e prodotta dal Comune di Milano - Cultura, Palazzo Reale e Musei Vaticani, in collaborazione con Contrasto, nell’ambito di Milano Photo Week (la mostra è accompagnata da un volume edito da Edizioni Musei Vatica- ni e Contrasto, con i testi di David Campany, Giovanni Careri, Micol Forti, Barbara Jatta, Johanne Lamoureux, Alessandra Mauro). Il progetto è una vera e propria committenza a «un gruppo di “voci” e di “occhi” del panorama artistico internazionale, un reportage che apre al mondo le porte dei Musei Vaticani, mostrandoli nella loro complessità». Si parte da alcune grandi aree tematiche: il tempo, la storia e la memoria; lo spazio; le persone; le opere e i feticci. «Su questa griglia di riferimento sono stati scelti nove artisti- fotografi che “in piena luce”, in piena autonomia e in momenti distinti, hanno affrontato i diversi aspetti – continua Jatta –: dai visitatori alle opere, dalle architetture ai depositi, da ciò che è visibile a quanto è lontano dallo sguardo del pubblico, dalle tracce che il pubblico lascia lungo il suo percorso a quelle che l’esperienza percettiva semina nel- la memoria, dal tempo non solo storico ma anche fisico alla consunzione che trasforma costantemente luoghi e cose, ai simboli di una sempre più sfuggente “memoria collettiva”, fino alla distrazione e alla dissociazione da un dialogo realmente vitale con la società». Opere nel solco della «missione di questa raccolta, voluta da papa Paolo VI agli inizi degli anni Settanta, di mantenere una relazione tra Chiesa e contemporaneità, fra fede e creatività artistica».

Ed ecco Antonio Biasiucci a tu per tu con le statue romane del Magazzino delle Corazze. «Avevo la sensazione che tutti i soggetti mi guardassero, come se volessero essere scelti per essere fotografati – racconta Biasiucci –. Come se volessero uscire dall’oblio. Salvarsi dal tempo che li consuma. Con la mia fotografia ho pensato che potessi restituire loro una nuova vita, una nuova fisionomia, una nuova luce. A partire dal nero di fondo, c’è una luce che illumina una parte del volto. Un raggio di luce che dà sacralità a questi volti». Il fotografo campano ci ha abituati nel suo percorso trentennale a soggetti essenziali, ipnotici, come tirati fuori dal buio e dal tempo: «Nella mia esperienza ho cercato di riscrivere la storia della fotografia analizzando soggetti che sono essenziali alla storia degli uomini – continua Biasiucci –. Confrontandomi con il tema della salvezza, dell’utopia. Il Magazzino delle corazze, rappresenta un luogo emblematico in questo cammino». In mostra «ho immaginato una piccola stanza in cui si è avvolti da questi volti: una sorta di polittico con 28 volti che circondano e guardano lo spettatore. Lo interrogano. Gli parlano». Di tutt’altro taglio è la proposta di Massimo Siragusa. Il fotografo siciliano si è concentrato sul contenitore che custodisce le opere: «Il museo è una grande opera di per sé con un suo progetto architettonico ». Per Siragusa «non c’è soltanto la sua bellezza, l’incanto degli affreschi, delle volte, dei capitelli, delle colonne, le armonie delle forme, ma anche i suoi punti deboli: i segni del tempo, le crepe, gli angoli di umidità, piccole sbavature nei restauri. Una sorta di... imperfezioni in quel luogo che immagini perfetto, ideale. Il racconto si misura con una chiave di lettura temporale. Il tempo come le rughe che tracciano un volto». Il tempo. E poi la luce. Quella che accende e rende immediatamente riconoscibili le sue foto. «Un mélange di luce interna ed esterna – continua Siragusa –. Ho scelto di fotografare in primavera e in autunno, con una luce morbida che rischiarava gli spazi. Una luce che portasse la dimensione della sacralità a quella dell’umanità. Il tempo e la luce per avvicinare questo luogo a noi». L’arte celeste e l’occhio del fotografo che regala all’uomo un desiderio di pace, lo spinge a rivolgere lo sguardo all’insù. A cercare la bellezza. La speranza. La redenzione. La luce piena. Lì con Eva, in dissolvenza.

Vatican Museums, 2015 (Martin Parr © Governatorato SCV – Direzione dei Musei)

Vatican Museums, 2015 (Martin Parr © Governatorato SCV – Direzione dei Musei) - Martin Parr

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