martedì 3 luglio 2012
​Parla Robert Hossein, che riceve il premio alla carriera al festival romano Mirabile Dictu
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Negli anni ’60 Robert Hos­sein saliva alla ribalta internazionale per la sua partecipazione a una serie di film che ebbero un forte impatto popolare: le avventure di Angeli­ca, personaggio nato dalla fan­tasia dei coniugi Golon di cui il cinema s’impossessò con smac­cata malizia. Oltre cinquant’an­ni dopo e una felicissima carrie­ra alle spalle, anche come regi­sta teatrale – indimenticabile il suo kolossal al Palazzo dello Sport di Parigi, Jésus était son nom – l’attore francese è salito su un palcoscenico assai diver­so, appositamente creato dinan­zi all’architettura neoromanica della Basilica di Nostra Signora del Rosario a Lourdes: il 13 ago­sto 2011, all’imbrunire, oltre ot­tanta fra attori e comparse han­no partecipato a un’impresa e­pica recitando Una donna di no­me Maria per trentamila spetta­tori – molti dei quali pellegrini ammalati – e un pubblico televi­sivo di due milioni, affascinato dalla recita trasmessa in diretta. Un canovaccio semplice: Berna­dette chiede alla Signora di rac­contarle la storia del Figlio. I personaggi, evocati dalle parole di Maria, danno vita agli episodi più noti dei Vangeli. Non recita­no direttamente, ma usano voci registrate, per rendere ancora più solenne e misteriosa la pre­senza e la predicazione di Gesù. Movimenti calibrati con estrema cura, dal Battesimo nel Giorda­no alla Risurrezione e oltre, con la contemporaneità della spe­ranza racchiusa nell’acqua della Grotta, distribuita alla fine a tut­ti i malati, come prima il pane del famoso miracolo della molti­plicazione. Lo spettacolo è stato filmato e offerto ieri sera al pub­blico in occa­sione della se­rata inaugura­le della terza edizione di Mirabile Dictu - International Catholic Film Festival (che ha tra l’altro conferito a Hossein il premio alla carriera), in programma all’Auditorium Conciliazione di Roma fino a giovedì. Ed è nato da un vero e proprio shock inspiegabile: «Ero al Festival di Teatro di Gavarnie e scendendo dai Pirenei mi sono fermato a Lourdes, volevo ve­derla coi miei occhi, per la pri­ma volta. Mi sono fermato da­vanti alla Basilica, mi sono sen­tito male, sono crollato a terra, mia moglie credeva avessi avuto un infarto. Mi sono rialzato e piangevo. Non so perché e anco­ra oggi rimane un mistero. Ma la cosa chiarissima in me è che lì dovevo fare qualche cosa, uno spettacolo davanti alla Basilica». Non deve essere stato facile or­ganizzarlo. Mi è stato detto chiaro e tondo che nessuno lo aveva mai fatto prima, tutti erano perentori: no, Hossein, niente teatro. Ma io so­no testardo, ci ho messo un an­no per avere l’autorizzazione. E il Vescovo è stato chiarissimo: solo una volta, solo una sera, non una di più. Abbiamo prova­to per due mesi, di notte, per la­sciare libero accesso durante il giorno ai malati. Lo spettacolo l’ho fatto prima di tutto per loro. Non racconto nemmeno le vicis­situdini finanziarie: tutte le ban­che e i produttori mi hanno chiuso la porta in faccia, ho chiesto proprio la carità per ot­tenere i finanziamenti, alcuni a­mici mi hanno aiutato con gene­rosità, mentre io ho lavorato gratuitamente. Poi ho deciso di fare un film della rappresenta­zione, che non ha ancora distri­buzione. Ma a Lourdes c’è una sala di cinema, l’hanno chiama­ta col mio nome, proiettano lì il film tutti i giorni. Come ha scelto i suoi attori? Tutto il casting è stato straordi­nario. Ho conosciuto una ragaz­za di Lourdes, aveva un tumore al cervello, è guarita, mi ha det­to: posso fare Bernadette. Poi la Vergine: splendida, la mamma malata di cancro, guarita anche lei. Infine, ero in ascensore a Pa­rigi, vedo il volto di questo ra­gazzo, Pierre-Laurent Barneron, gli chiedo se stava cercando la­voro, mi risponde di sì e che era un attore. Vai a Lourdes, gli ho detto, sarai il mio Gesù.Lo spettacolo termina con una sua frase che suona anche come un avvertimento: «Se non ab­biamo il potere di guarire, ab­biamo quello di amare, aiutare e condividere, prima che sia troppo tardi». Tutti mi hanno dato del matto, prima e dopo questa fatica. Mi sono sentito come spinto a scri­verle, quelle parole. Sono vec­chio, so di aver fatto la cosa giu­sta in questo tempo della mia vi­ta. Ora penso a un nuovo lavoro teatrale, un omaggio a Charles de Gaulle.

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